Nel reato di peculato rientra anche la condotta di “distrazione” poiché imprime al denaro una destinazione diversa da quella consentita dal titolo del possesso.
La
Corte di Cassazione, con
sentenza n. 38260 del 13 giugno 2019, ha definito una controversia riguardante il caso di un amministratore di
società "in house" il quale aveva utilizzato risorse economiche della società al fine di pagare alcune sanzioni pecuniarie per infrazioni commesse dai dipendenti.
A nulla sarebbero valse le difese del
dirigente, il quale cercava di sostenere che gli esborsi erano stati effettuati per evitare che l’ente fosse coinvolto nel processo.
Per certi tipi di sanzioni, in materia di lavoro e sicurezza o tutela ambientale, è prevista la possibilità di pagare anticipatamente le sanzioni pecuniarie, evitando così i rischi e le lungaggini del
processo penale.
Proprio per questo motivo, il dirigente della società coinvolta aveva optato per il pagamento delle sanzioni pecuniarie attraverso le risorse societarie, in modo da evitare un danno all’immagine della società, oltreché l’eventualità di dover versare una somma superiore in seguito.
Effettivamente, affermano i giudici, è pacificamente ammesso che l'ente possa legittimamente provvedere al pagamento in sede amministrativa della somma di denaro al posto del proprio addetto o dipendente, se questo risponde ad uno specifico interesse all'estinzione del reato.
Tuttavia, si legge nella
motivazione della sentenza, “
ferma la possibilità per l’ente di provvedere al pagamento della sanzione amministrativa con valenza estintiva della contravvenzione elevata al proprio dipendente, l’impiego di risorse economiche della persona giuridica a detto fine presuppone l’adozione di un atto formale da parte dell’ente che deliberi l’uscita di cassa, seguendo le procedure interne previste dal proprio statuto o comunque dal regolamento interno nonché previa verifica dei relativi presupposti”.
Conclusivamente, gli ermellini hanno affermato che “
stante l’assenza di un provvedimento formale ricognitivo dell’esistenza di un obbligo giuridico o comunque di un interesse, concreto ed effettivo, della persona giuridica”, sussiste il
fumus del
reato di peculato in capo al dirigente il quale
“nell’ordinare l’estinzione di reati contravvenzionali contestati ai dipendenti della società con l’impiego di risorse dell’ente, abbia conferito al denaro pubblico una destinazione non conforme agli scopi di pubblico interesse ad esso sottostanti”.
Nel caso di specie, la
condotta distrattiva posta in essere dal dirigente rientra a pieno titolo nella sfera di applicazione del reato di peculato, poiché il concetto di appropriazione, afferma la Cassazione, "
comprende anche la condotta di 'distrazione', in quanto imprimere alla cosa una destinazione diversa da quella consentita dal titolo del possesso significa esercitare su di essa poteri tipicamente proprietari e, quindi, impadronirsene".