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Condono edilizio 2024, stop a nuove opere in attesa del responso, si rischia la demolizione: novità Consiglio di Stato

Condono edilizio 2024, stop a nuove opere in attesa del responso, si rischia la demolizione: novità Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato ha precisato quando, in pendenza di condono, è possibile la realizzazione di nuovi lavori su immobili oggetto della richiesta
Il Consiglio di Stato, con la recente sentenza n. 6243 del 2024, ha trattato il tema dell’esecuzione di nuove opere su immobile oggetto di condono pendente.

L’istanza di condono edilizio autorizza a realizzare nuove opere nell’attesa del responso?

La vicenda riguardava un ricorso contro l’esito negativo della procedura di condono ai sensi della Legge n. 724/1994 e l’ordinanza di demolizione, disposti in virtù di nuovi lavori realizzati su un immobile che era oggetto di condono pendente e che, peraltro, era situato in un’area sottoposta a vincoli di tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

L’originario locale (un locale lavanderia) – oggetto dell’istanza di condono – veniva eliminato e altri lavori venivano compiuti per la realizzazione di un nuovo manufatto, diverso dal precedente per superficie, volumetria e sagoma plano-volumetrica.

Dunque, è possibile realizzare nuove opere prima dell’esito della procedura?

Il Consiglio di Stato precisa che, in pendenza del procedimento di condono edilizio, è possibile effettuare interventi per garantire la conservazione del manufatto, purché tali lavori non modifichino le caratteristiche essenziali e la destinazione d’uso dell’immobile.

La normativa sul condono richiede la permanenza dell’immobile da regolarizzare.

Quindi, in pendenza del procedimento, non è ammissibile la realizzazione di opere aggiuntive, né l’utilizzo di materiali di costruzione diversi da quelli originari. Questi tipi di intervento vengono qualificati come “sostituzione edilizia”.

Se così non fosse, non ci sarebbe continuità tra vecchia e nuova costruzione e l’attuale riconoscibilità del manufatto originario oggetto della richiesta di condono.

Quindi, la presentazione della domanda di condono non autorizza a completare, a trasformare o ad ampliare i manufatti oggetto della richiesta.

Peraltro, come detto, la vicenda riguardava opere realizzate all’interno di un’area comunale dichiarata di notevole interesse pubblico, senza la necessaria richiesta dell’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 del codice beni cult. e paesag..

Secondo l'interessata, l’autorizzazione paesaggistica sarebbe stata necessaria solo nel caso di introduzione di modifiche tali da pregiudicare i valori paesaggistici tutelati. Però le opere in oggetto sarebbero state da ricomprendere nelle previsioni di cui all’art. 149 del codice beni cult. e paesag. (che esclude l’autorizzazione di cui all’art. 146).

Per il Consiglio di Stato, nel caso analizzato, l’autorizzazione paesaggistica postuma non può essere concessa ai sensi del comma 4 dell’art. 146 del Codice dei beni culturali. Infatti, non può ritenersi applicabile l’art. 149 poiché le opere realizzate, per le loro caratteristiche, alterano lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore dell’edificio.

Ancora, sotto altro punto di vista, l'interessata evidenziava l’illegittimità del rigetto dell’istanza poiché non preceduto dall’invio della comunicazione di cui all’art. 10 bis della legge sul proc. amministrativo. Il riferimento è all’istituto del preavviso di rigetto.

Vista la portata generale dell’istituto, esso avrebbe dovuto trovare applicazione anche nei procedimenti di condono edilizio e il mancato invio della comunicazione avrebbe precluso la sua piena partecipazione e, quindi, la possibilità di una collaborazione capace di portare ad una diversa conclusione.

Tuttavia, il Consiglio di Stato ha precisato che la violazione dell'art. 10-bis della L. n. 241/1990 comporta l’illegittimità del provvedimento impugnato quando il privato indica gli elementi che, se introdotti in fase procedimentale, avrebbero potuto influire sul contenuto finale del provvedimento.

Però, nella vicenda, non sembrano valorizzate circostanze che avrebbero potuto condurre ad un diverso esito del procedimento di condono.

Quindi, trova comunque applicazione il comma 2 dell’art. 21 octies della legge sul proc. amministrativo, secondo cui “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

Infatti, il diniego di condono edilizio costituisce atto vincolato, atteso che il manufatto oggetto dell'istanza di condono non è più esistente.

In conclusione, prima della fine della procedura, sono possibili nuove opere?

La richiesta di condono non autorizza a completare, a trasformare o ad ampliare i manufatti oggetto dell’istanza. Fino all’eventuale concessione del provvedimento favorevole, tali immobili restano abusivi (così come i successivi interventi realizzati).

Quindi, all’epoca dei fatti, sono stati legittimamente applicati l’art. 31 del T.U. edilizia e l'art. 32 del T.U. edilizia, in base ai quali, trattandosi di opere eseguite in mancanza di permesso di costruire, è stata disposta l’ingiunzione di demolire.


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