In mancanza di consenso unanime, il condòmino non può procedere a scavi nel sottosuolo al fine di ricavare nuovi locali o di ingrandire quelli già esistenti, poiché tale operazione - attraendo la res comune nella disponibilità del singolo condomino - finirebbe per ledere il diritto degli altri comproprietari sulla parte comune dell’edificio.
Ciò è quanto ha affermato la Sezione VI della Corte di Cassazione con ordinanza n. 29925/2019 dello scorso 18 novembre.
In relazione ai fatti di causa, la pronuncia traeva origine dal ricorso proposto avverso il provvedimento con cui la Corte d’appello, confermando la sentenza del giudice di primo grado, aveva condannato un condòmino al ripristino del suolo e del livello originario della pavimentazione della cantina, a seguito di uno scavo che aveva provocato un abbassamento del livello del pavimento di ben sessanta centimetri.
Val la pena di ricordare che, in materia di condominio, per quanto non espressamente previsto dal relativo capo recante le norme ad esso applicabili, il codice civile rinvia alle disposizioni sulla comunione in generale.
Orbene, ai sensi dell’ art. 1102 del c.c., il partecipante è legittimato a servirsi della cosa comune, ancorché sia tenuto all’osservanza di due fondamentali divieti; in particolare: quello di non alterare la destinazione della res e quello di non impedirne l’uso ed il godimento da parte degli altri comunisti.
Tuttavia, le doglianze del ricorrente non hanno trovato accoglimento, alla luce del combinato disposto di cui agli artt. 1117 e 840 c.c..
Se è vero, infatti, che - a mente dell’art. 840 c.c. - la proprietà del suolo si estende anche al sottosuolo, di talchè il proprietario può compiere escavazioni, purché non ne derivino danni per il vicino, l’art. 1117 del c.c., elencando tassativamente i beni comuni, indica “il suolo su cui sorge l’edificio“, ovvero quella porzione di terreno su cui insiste l’edificio, comprensiva, dunque, della parte sottostante comunemente detta “sottosuolo”.
In sostanza, rilevato che il medesimo termine “suolo” evocato dall’art. 1117 c.c. ha una portata più ampia rispetto a quanto si legge nel frammento normativo di cui all’art. 840 c.c., è indubbio che il “sottosuolo” ricada nei “beni comuni” condominiali, non rappresentando - in questo caso - una proiezione del diritto di proprietà esclusiva del singolo condomino.
La Corte di Cassazione ha, dunque, rigettato il ricorso, ritenendo che le considerevoli operazioni di escavazione effettuate dal ricorrente si erano concretizzate in un'appropriazione di una porzione rilevante del sottosuolo e, dunque, in una modifica significativa del bene condominiale, per la quale sarebbe stato necessario il consenso degli altri condomini.