Nel caso esaminato dalla Corte, il Tribunale di Termini Imerese aveva dichiarato un’ imputata colpevole del reato di “furto di energia elettrica”, condannandola alla pena di un anno di reclusione ed Euro 200 di multa.
Ritenendo la sentenza ingiusta, l’imputata proponeva appello avverso la decisione, evidenziando che “mancherebbe la prova certa della consapevolezza o della conoscenza dell'abusiva utilizzazione di energia elettrica, anche perché, una volta cessata l'utenza per morosità, il 9/03/2009, a quella data non era stato apposto alcun sigillo”.
La Corte d’appello riteneva di dover aderire solo parzialmente alle argomentazioni svolte dall’appellante, riconoscendo, in effetti, che dovevano esserle concesse le attenuanti generiche ma confermando la sua penale responsabilità.
Evidenziava la Corte d’appello, in particolare, che il tecnico dell’enel sentito come testimone nel corso del procedimento, aveva “riferito che l'utenza interessata al controllo era stata disattivata per morosità ed era stato, quindi, riscontrato l'allaccio abusivo alla rete elettrica, risultando, così, consumi non fatturati per un importo di 1579,00 Euro”.
Di conseguenza, secondo la Corte, il reato doveva dirsi configurato, in quanto “quel che rileva è l'indebita fruizione di energia elettrica, con conseguente elusione degli importi non pagati, perché non registrati, e dei quali beneficiava l'odierna appellante”.
Di conseguenza, secondo la Corte, ai fini della sussistenza del reato contestato, non era nemmeno necessaria la prova della manomissione del contatore, “essendo rilevante, solo, che all'atto del controllo vi sia l'indebita fruizione di energia elettrica”.
Non solo: secondo la Corte, non aveva nemmeno rilievo “l'eventuale manomissione commessa da precedenti detentori, posto che quel che rileva è l'effettivo utilizzo dell'energia, integrante il fatto della sottrazione e non che l'agente sia sorpreso nell'atto di manomettere il contatore dei consumi”.
La manomissione del contatore, infatti, secondo la Corte, integrava solamente gli estremi di una circostanza aggravante del reato contestato.
Ad ogni modo, la Corte d’appello riteneva che, nel caso di specie, dovessero essere riconosciute all’imputata le “circostanze attenuanti generiche” (art. 62 bis c.p.), con contenimento della pena nel minimo previsto dalla legge, sia in considerazione del fatto che l’imputata non aveva mai commesso altri reati, sia per il breve tempo in cui era stata posta in essere la condotta contestata.
Alla luce di tali circostanza, in parziale riforma della sentenza emessa del Tribunale di Termini Imerese, la Corte d’appello confermava la penale responsabilità dell’imputata, concedendole, tuttavia, “le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti”, riducendo, dunque, la pena a sei mesi di reclusione e ad Euro 154 di multa.