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Caduta su tombino stradale

Caduta su tombino stradale
Donna inciampa sul tombino: niente risarcimento se non viene chiaramente provato il nesso causale tra tombino a caduta
Con la sentenza n. 13260 del 28 giugno 2016, la Corte di Cassazione si è pronunciata, ancora una volta, in tema di risarcimento del danno da cosa in custodia, di cui all’art. art. 2051 del c.c. c.c.

Questa volta, nel caso esaminato dalla Corte, una donna aveva agito in giudizio nei confronti di Telecom, quale proprietaria e custode di un tombino, sul quale la medesima era inciampata, subendo delle lesioni.

In particolare, la donna sosteneva di essere “incespicata” sul tombino, il quale si trovava al di sotto del manto stradale, con la conseguenza che non risultava visibile, essendo, tra l’altro, coperto da giornali e carte sparse per la strada.

Telecom, costituitasi in giudizio, si difendeva, osservando come la donna non avesse fornito la prova delle proprie affermazioni e come, in ogni caso, non sussistesse alcun profilo di responsabilità in capo alla società, poiché il tombino si trovava sul suolo pubblico.

Il Tribunale, pronunciatosi in primo grado, rigettava la domanda proposta, in quanto la caduta non sarebbe dipesa da difetti del tombino o dalla sua sporgenza, ma da dei difetti del manto stradale, con la conseguenza che un’eventuale responsabilità sarebbe stata da addebitare al Comune, quale custode della strada, e non a Telecom.

La sentenza veniva confermata anche in secondo grado, dal momento che la Corte d’Appello osservava come, anche a voler ammettere che, dopo l’installazione del tombino, Telecom avesse mantenuto la custodia dello stesso, non risultava comunque provato il nesso di causalità tra un’eventuale anomalia del tombino e la caduta della donna.

La donna, dunque, decideva di ricorrere dinanzi alla Corte di Cassazione, la quale, tuttavia, riteneva di dover confermare la sentenza del giudice di secondo grado.

Giunti al terzo grado di giudizio, infatti, la Corte di Cassazione ricorda come, in tema di responsabilità da cosa in custodia, disciplinata dall’art. 2051 c.c., “il danneggiato è tenuto a fornire la prova del nesso causale fra la cosa in custodia e il danno che egli ha subito (oltre che dell’esistenza del rapporto di custodia)”. Dopo che il danneggiato abbia fornito tale prova, la controparte potrà fornire la prova del “caso fortuito”, vale a dire “l’esistenza di un fattore estraneo che, per il carattere dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale, escludendo la sua responsabilità”.

Precisa la Corte, inoltre, come, la prova del nesso causale sia particolarmente delicata quando il danno sia causato da una cosa statica e inerte, come, appunto un tombino: in questi casi, infatti, “il danneggiato è tenuto a dimostrare che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il danno”.

Nel caso in esame, invece, secondo la Cassazione, il ricorso della danneggiata non poteva essere accolto, dal momento che la Corte d’Appello aveva escluso che la donna “avesse fornito la prova del nesso causale tra la caduta ed una qualche anomalia del tombino (…) atteso che una simile anomalia non era stata neppure dedotta, né poteva essere considerata tale l’esistenza di un dislivello tra lo stesso tombino ed il piano viario, dislivello di cui peraltro non era mai stata specificata l’entità, con la conseguenza che nulla escludeva che lo scarto fosse rimasto contenuto nei limiti fisiologici e, dunque, che non vi fosse una situazione di obiettiva pericolosità”.

In altre parole, secondo la Cassazione, la domanda risarcitoria della donna non poteva essere accolta, in quanto l’art. 2051 c.c. richiede che chi agisce in giudizio provi la sussistenza di un rapporto di causalità tra la cosa in custodia e il danno subito, mentre, nel caso di specie, la donna non aveva adeguatamente provato che la sua caduta fosse stata concretamente provocata da un difetto del tombino in questione o dal dislivello tra lo stesso e il manto stradale.

Conseguentemente, la Corte rigettava il ricorso presentato dalla donna danneggiata, condannando la medesima al pagamento delle spese di giudizio.


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