La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18637 del 27 luglio 2017, si è occupata proprio di questa questione, fornendo alcune interessanti precisazioni sul punto.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, un soggetto aveva agito in giudizio nei confronti di una Banca, in quanto, a seguito di una rapina, gli era stato rubato il contenuto di una cassetta di sicurezza, nella quale egli aveva custoditi dei gioielli.
Il Tribunale di Torre Annunziata aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta dal derubato ma la sentenza era stata riformata dalla Corte d’appello di Napoli, la quale condannava la banca al risarcimento della somma di circa Euro 500.000.
Secondo la Corte d’appello, in particolare, dall’esame delle prove raccolte in corso di causa, erano emersi profili di colpa in capo alla Banca, in quanto “i sistemi di allarme al momento dell'irruzione erano disattivati”, la “porta blindata del caveau (...) era sistematicamente lasciata aperta” e i ladri avevano potuto “agire esternamente sulla porta secondaria in maniera del tutto indisturbata” e “operare addirittura dall'interno dell'istituto”.
Di conseguenza, secondo la Corte d’appello, le modalità della rapina avevano fatto emergere la responsabilità dell’istituto bancario, in quanto l’evento non poteva dirsi ricollegato ad un semplice “caso fortuito”.
Ritenendo la decisione ingiusta, la Banca aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della decisione sfavorevole.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione alla ricorrente, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
Osservava la Cassazione, in proposito, che, ai sensi dell’art. 1839 cod. civ., la banca che presta il servizio di cassette di sicurezza, assume un’obbligazione “di custodia ed idoneità dei locali e di integrità delle cassette” e la sua responsabilità può dirsi esclusa solamente in ipotesi di “caso fortuito”.
Tuttavia, precisava la Cassazione, il furto non costituisce un “caso fortuito”, dal momento che si tratta di un “evento prevedibile in considerazione della natura della prestazione” resa dalla Banca.
Evidenziava la Cassazione, inoltre, che le prestazioni cui la banca è tenuta in forza del servizio di cassette di sicurezza non cambia a seconda della natura e del valore degli oggetti custoditi nella cassetta stessa, in quanto, in ogni caso, la banca si obbliga sempre, “verso il pagamento di un canone, a mettere a disposizione del cliente locali idonei all'espletamento del servizio delle cassette di sicurezza ed a provvedere alla custodia degli stessi ed alla integrità della cassetta”.
Di conseguenza, secondo la Corte, ai fini della responsabilità della Banca, è del tutto irrilevante che il cliente non abbia comunicato all’Istituto la natura dei beni immessi nella cassetta e il loro valore.
Ciò considerato, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dalla Banca, confermando integralmente la sentenza impugnata e condannando la ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.