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Arriva lo stalking sul posto di lavoro, se il datore ti mette ansia o paura puņ essere condannato: ecco la Cassazione

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Arriva lo stalking sul posto di lavoro, se il datore ti mette ansia o paura puņ essere condannato: ecco la Cassazione
Scopriamo insieme la nuova decisione della Cassazione che segna una svolta in tema di molestie sul lavoro
Con il termine mobbing si designa un fenomeno che si sviluppa all’interno dei luoghi di lavoro e che si concretizza in un insieme di comportamenti aggressivi e persecutori a danno di un lavoratore, posti in essere da un soggetto che può essere tanto il datore di lavoro, quanto altri colleghi.

Il tratto che caratterizza il mobbing è rappresentato dal fatto che i comportamenti vessatori, rivolti nei confronti del lavoratore, sono reiterati, duraturi e finalizzati a lederne l'integrità psicofisica o ad estrometterlo dall’azienda o dall’ente in cui svolge la propria attività lavorativa.

Il mobbing - si noti - non è considerato un istituto di diritto penale, perché non è presente all’interno del codice penale un articolo che lo disciplina.

Così, data l’assenza di una norma incriminatrice e la perdurante inerzia del legislatore, la giurisprudenza – in via suppletiva - ha tendenzialmente ricondotto il fenomeno all’interno del perimetro sanzionatorio di alcune fattispecie di reato previste, nella specie, dalle seguenti norme del codice penale:
  • art. 572 c.p., laddove prevede le ipotesi di chi commette maltrattamenti in danno di “persona sottoposta alla sua autorità”. Infatti il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore subordinato - essendo caratterizzato dal potere direttivo e disciplinare che la legge attribuisce al datore nei confronti del lavoratore dipendente - pone, invero, quest’ultimo nella suddetta condizione di “persona sottoposta alla sua autorità’’;
  • art. 610 c.p., che punisce il reato di violenza privata;
  • art. 612 bis c.p., che punisce il delitto di atti persecutori.

Un quadro giuridico questo, tuttavia, destinato a cambiare proprio all’indomani della decisione assunta dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 32770 del 21 agosto 2024. Una sentenza che - come riferiscono i primi commentatori – “apre la strada a una più efficace repressione di comportamenti vessatori che si protraggono ben oltre l’ambiente lavorativo”.

La Corte ha, infatti, sottolineato che “il mobbing, quando esercitato con modalità vessatorie reiterate e idonee a determinare un perdurante stato di ansia o di timore nella vittima, può essere ricondotto alla fattispecie dello stalking“.

Il caso specifico - che ha portato a questa conclusione - riguarda un docente universitario accusato di una serie di reati, tra cui molestie sessuali nei confronti delle studentesse e abuso di autorità. Le azioni del docente, essendo state condotte in modo sistematico e prolungato, hanno non solo configurato una situazione di mobbing, ma sono state considerate a tutti gli effetti come stalking in ambito lavorativo, fenomeno altrimenti noto come stalking occupazionale.

Nella sentenza in esame è emerso che i comportamenti vessatori, posti in essere dal docente universitario indagato, hanno generato un ambiente di lavoro ostile e insostenibile. Tra le condotte denunciate e riscontrate in giudizio figurano la marginalizzazione professionale e l’adozione di atteggiamenti intimidatori e persecutori nei confronti degli specializzandi dissidenti.
La Cassazione ha evidenziato come tali comportamenti abbiano “superato il livello di ordinaria conflittualità presente in un ambiente di lavoro” e si siano concretizzate in un “accanimento psicologico” ai danni delle vittime tale da configurare, per l'appunto, gli estremi dello stalking occupazionale.



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