Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Napoli aveva confermato la sentenza di primo grado, che aveva condannato un imputato per il reato di violenza sessuale, “perché, con violenza, aveva costretto G.L. a subire atti sessuali consistiti nel palpeggiamento del sedere, approfittando del fatto di sorprendere la vittima alle spalle mentre si trovava a bordo di un ciclomotore che gli aveva consentito una pronta fuga, con l’attenuante della minore gravità”.
L’imputato, ritenendo la decisione ingiusta, aveva, dunque, deciso di proporre ricorso per Cassazione, al fine di ottenere l’annullamento della sentenza di condanna.
Secondo il ricorrente, in particolare, “il palpeggiamento compiuto non poteva configurare il reato contestato: si trattava, infatti, di un comportamento, seppur inammissibile, privo della connotazione di atti sessuali e, pertanto, inidoneo ad incidere sulla libertà sessuale della persona offesa”.
Il ricorrente evidenziava, infatti, di non aver avuto l’intenzione di “compiere un atto di libidine sulla donna, bensì, stando a bordo di un ciclomotore, si era limitato ad uno schiaffo sul sedere”.
Questa condotta, dunque, a detta del ricorrente, “non aveva determinato la soddisfazione erotica del soggetto attivo con la conseguenza che era irragionevole considerare lo schiaffo sul sedere un atto di violenza sessuale”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle argomentazioni svolte dal ricorrente, rigettando il relativo ricorso.
Secondo la Cassazione, infatti, la Corte d’appello aveva adeguatamente motivato la propria decisione, confermando l’accertamento dei fatti compiuto dal giudice di primo grado, in quanto “la condotta dell’imputato si era concretizzata in un palpeggiamento, e non in uno schiaffo, sia pure di breve durata, di zone erogene, comunque suscettibili di eccitare la concupiscenza sessuale”, ritenendo, dunque, “irrilevante, ai fini della configurazione del reato, il conseguimento della soddisfazione erotica”.
La Cassazione osservava, peraltro, come una recente sentenza della medesima Corte (la n. 21020 del 2015), avesse ribadito che “la condotta vietata dall’art. 609-bis cod. pen. comprende, oltre ad ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto idoneo, secondo canoni scientifici e culturali, a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, a prescindere dalle intenzioni dell’agente, purché questi sia consapevole della natura oggettivamente “sessuale” dell’atto posto in essere con la propria condotta cosciente e volontaria”.
Precisava la Cassazione, inoltre, che “nella nozione di atti sessuali non sono ricompresi solo quelli indirizzati alla sfera genitale ma anche tutti quelli idonei a ledere la libertà di autodeterminazione della sfera sessuale della persona offesa, quali palpeggiamenti, o in genere, toccamenti, bacio, strofinamento delle parti intime”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione giungeva alla conclusione di dover rigettare l’impugnazione proposta dall’imputato, confermando integralmente la sentenza resa dalla Corte d’appello e condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.