Ciò significa che, quando l’amministratore riceve delle somme da parte dei condomini, finalizzate al pagamento di qualche spesa condominiale, la stessa deve essere depositata nel conto corrente del condominio, mentre non può confluire nel conto personale dell’amministratore stesso.
Ebbene, cosa succede se, invece, l’amministratore di condominio si appropria di queste somme, facendole confluire nel proprio conto corrente personale? Tale condotta ha rilevanza anche dal punto di vista penale?
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 37666 del 2015, ha precisato, in proposito, che tale comportamento integra il reato di “appropriazione indebita” di cui all’art. 646 codice penale.
Nel caso esaminato dalla Corte, la Corte d’Appello aveva confermato la sentenza del Tribunale, che aveva condannato l’amministratore di condominio per “appropriazione indebita”, in quanto lo stesso aveva trasferito nel proprio conto corrente personale, nonché su quello della moglie, il denaro ricevuto dai condomini, che sarebbe dovuto confluire nel conto corrente intestato al condominio.
L’amministratore, ritenendo la sentenza ingiusta, proponeva, dunque, ricorso per Cassazione, affermando che la fattispecie non integrava tale reato ma configurava una semplice “mala gestio” dell’amministratore: in altri termini, doveva essere addebitata all’amministratore una semplice condotta di “cattiva gestione” del condominio, priva di rilevanza penale.
Giunti al terzo grado di giudizio, tuttavia, la Corte di Cassazione non ritiene di dover aderire alle argomentazioni svolte dall’amministratore, confermando la sentenza resa dalla Corte d’Appello.
In particolare, secondo la Cassazione, il giudice di secondo grado aveva adeguatamente motivato la propria decisione di condanna, nella quale erano stati evidenziati tutti i motivi che avevano indotto il giudice a ritenere integrato il reato in questione. Afferma la Corte che “alcune condotte sono, infatti, univocamente inquadrabili nella fattispecie delittuosa, poiché l’elemento oggettivo è connotato da una tale evidenza da essere incompatibile con ogni riconduzione a condotte alternative lecite”.
In altri termini, la condotta dell’amministratore era stata talmente palese da non potersi mettere in dubbio la sua rilevanza penale.
Allo stesso modo, la Corte d’Appello aveva adeguatamente motivato anche la decisione in ordine alla quantificazione della pena applicata, pari, nella specie, ad un anno e quattro mesi di reclusione, oltre alla multa di Euro 800.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione ritiene di rigettare il ricorso proposto dall’amministratore di condominio, confermando la sentenza della Corte d’Appello che l’aveva condannato per il reato di “appropriazione indebita”, di cui all’art. 646 c.p.