L’Agenzia delle Entrate Riscossione ha la più ampia facoltà di notificare i propri atti – quantomeno nei confronti dei soggetti obbligati per legge a dotarsi di un indirizzo di posta elettronica certificata – in maniera telematica.
Nella prassi, però, può accadere che un contribuente non si accorga di avere la casella postale satura, così di fatto impedendo che l’atto ad esso inviato raggiunga la sua naturale destinazione.
In ipotesi del genere, quali sono gli ulteriori adempimenti che il concessionario della riscossione deve porre in essere affinché la notificazione possa ritenersi validamente effettuata?
Nella prassi, però, può accadere che un contribuente non si accorga di avere la casella postale satura, così di fatto impedendo che l’atto ad esso inviato raggiunga la sua naturale destinazione.
In ipotesi del genere, quali sono gli ulteriori adempimenti che il concessionario della riscossione deve porre in essere affinché la notificazione possa ritenersi validamente effettuata?
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 3703 pubblicata il 13 febbraio 2025, ha stabilito un importante principio riguardo alla notifica delle cartelle esattoriali a mezzo posta elettronica certificata (PEC).
In particolare, è stato affermato che la notifica tramite PEC deve essere ripetuta due volte solo nel caso in cui, al primo tentativo, la casella di posta elettronica certificata del destinatario risulti piena. In altre parole, se il destinatario non può ricevere il messaggio perché la sua casella PEC è piena – e solo in questo caso – l'Agenzia delle Entrate (o l'amministrazione competente) dovrà procedere con il secondo invio decorsi almeno sette giorni
Nei restanti casi, ovvero quando l'indirizzo PEC risulta non valido o inattivo, non è necessario un secondo tentativo di invio da parte dell'amministrazione.
Questo principio semplifica il processo e riduce il rischio di impugnazioni infondate, legate a tentativi di invio che non hanno avuto esito positivo per motivi tecnici (come caselle PEC non operative).
La decisione si inserisce in un panorama giuridico in cui la notifica digitale è sempre più al centro delle controversie. La Suprema Corte è già intervenuta in passato in materia di notifiche digitali, cercando di chiarire e rendere più efficace e trasparente il sistema.
Con l'ordinanza n. 30922 del 3 dicembre 2024 – sembra utile rammentare – la Suprema Corte ha stabilito che una cartella di pagamento notificata via PEC in formato ".pdf" è valida e non può essere contestata solo per l'assenza del formato ".p7m" (il formato con firma digitale). Questo chiarimento ha importanti implicazioni per la validità delle notifiche esattoriali, evidenziando che la Posta Elettronica Certificata (PEC) assicura comunque la provenienza e autenticità del documento.
Questi i punti principali della sentenza:
- validità del formato ".pdf": la Cassazione ha confermato che il formato ".pdf" per le cartelle esattoriali notificate tramite PEC è legittimo. Non è necessario che il documento sia in formato ".p7m", che sarebbe il formato con firma digitale (CAdES). Il formato ".pdf", che è altrettanto sicuro e riconosciuto, è sufficiente per garantire l'integrità e l'autenticità del documento;
- assenza di obbligo della firma digitale: non è obbligatorio che la cartella esattoriale sia firmata digitalmente. La Corte ha ribadito che, in base alla giurisprudenza precedente (sentenze n. 30948/2019 e n. 27181/2020), una cartella in formato digitale è valida anche senza firma digitale, a condizione che la sua origine sia chiaramente riconducibile all'ente emittente (Agenzia delle Entrate – Riscossione);
- equivalenza tra formati digitali: la Corte ha sottolineato che sia il formato ".pdf" (PAdES) che il formato ".p7m" (CAdES) sono considerati equivalenti dalla normativa italiana e dalla normativa europea (Regolamento UE 910/2014). Pertanto, il formato ".pdf" non pregiudica la validità della cartella notificata via PEC;
- implicazioni per i destinatari: se un contribuente riceve una cartella esattoriale tramite PEC in formato ".pdf", non potrà contestare la validità della notifica solo per l'assenza del formato ".p7m". Tuttavia, se ci sono prove concrete che il documento non proviene dall'Agenzia delle Entrate – Riscossione, il contribuente può contestare l'autenticità dell'atto e richiedere la sua nullità.