Nel caso esaminato dal Tribunale, i due figli di una donna erano stati imputati di tale reato, per aver abbandonato l’anziana madre, che era affetta da “psicosi cronica con deficit cognitivo”, omettendo di assisterla, nonostante l’intervento dei Carabinieri, cui la donna si era rivolta “in preda ad un delirio di persecuzione”.
I figli in questione, inoltre, non si erano nemmeno mai attivati al fine di “fornire alla madre, che si trovava a vivere isolata ed in stato di degrado materiale e morale, il necessario conforto e supporto, disinteressandosi della stessa, omettendo di provvedere affinché fosse tutelata la dignità dei luoghi ove l'anziana risiedeva (che si trovavano, invece, in condizioni di estremo degrado) ed omettendo perfino di farle visite periodiche”.
Secondo il Tribunale, dalla documentazione medica prodotta, si evinceva senz’ombra di dubbio che la donna si trovava in una condizione di “debolezza fisica e psichica” ed era rispetto a tali condizioni che si doveva misurare l’obbligo di garanzia cui erano tenuti i figli.
Precisava il Tribunale che il reato di cui all’art. 591 c.p. “consiste nell'abbandono volontario e consapevole, con conseguente esposizione a pericolo, della persona incapace, da parte dell'agente, gravato dell'obbligo giuridico di cura e latu sensu custodia”.
Alla luce di tali principi, il Tribunale riteneva che uno dei figli dovesse andare assolto, in quanto aveva quantomeno richiesto la nomina di un amministratore di sostegno per la madre e aveva mantenuto contatti informativi con i servizi sociali, andando anche a far visita all’anziana madre mentre questa era ricoverata presso il reparto di psichiatria dell’ospedale.
Quanto all’altro figlio, invece, il medesimo andava condannato, in quanto egli aveva giustificato la propria assenza e il disinteresse manifestato, unicamente sul rilievo secondo cui era sua moglie a non voler in casa la suocera.
Tale figlio, inoltre, “conosceva bene le condizioni di incapacità psichica di sua madre”, ma nulla aveva fatto per aiutarla né era mai andato ad interessarsi di lei presso i Servizi sociali o in ospedale durante il ricovero.
Dunque, risultato “pacificamente provata la totale omissione di condotte di protezione da parte sua, pur essendo consapevole delle condizioni in cui sua madre viveva con esposizione a pericolo”, il Tribunale riteneva di dover affermare la penale responsabilità dell’imputato, “per avere violato il dovere di custodia e assistenza ex art. 591 co.1, aggravato dalla relazione parentale ex comma 4”.
Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale assolveva uno dei figli, il quanto “il fatto non costituisce reato”, mentre condannava l’altro a otto mesi di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.