La Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 9135 del 24 febbraio 2017, si è occupata di un interessante caso in materia di violenza sessuale.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Brescia aveva confermato la sentenza del Tribunale della medesima città, con la quale un uomo era stato condannato per il reato di cui agli artt. 609 bis e 609 ter cod. pen. (violenza sessuale aggravata), “per avere, con violenza consistita nell’agire in modo repentino, costretto la minore di anni quattordici P.S. , a subire atti sessuali consistiti nella palpazione del seno”.
In particolare, all’uomo era stato contestato di aver, “con la scusa di leggere la scritta sulla maglietta della minore”, “toccato con la punta delle dita il seno della stessa”.
Nello specifico, la Corte d’appello aveva ritenuto di dover confermare la condanna, “attribuendo piena credibilità alle dichiarazioni della persona offesa P.S. , dichiarazioni che avevano trovato ampie e precise conferme in altre fonti testimoniali”.
Ritenendo la sentenza ingiusta, il condannato aveva proposto ricorso per Cassazione, chiedendo l’annullamento della sentenza di secondo grado, in quanto i giudici avrebbero travisato le prove ed erroneamente attribuito credibilità alle dichiarazioni della persona offesa e dei testimoni.
Secondo il ricorrente, inoltre, la condotta contestata non poteva considerarsi “violenza sessuale”, “non ricorrendo il requisito della repentinità degli atti”, dal momento che la condotta stessa doveva ritenersi “prevedibile”, essendo stata “preceduta da apprezzamenti favorevoli” nei confronti della minore.
Di conseguenza, secondo l’imputato, la condotta poteva, al più, integrare il reato di cui all’art. 609 quater cod. pen. (atti sessuali con minorenne).
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle argomentazioni svolte dal ricorrente, rigettando il relativo ricorso.
Secondo la Cassazione, infatti, i giudici dei precedenti gradi di giudizio avevano adeguatamente e coerentemente motivato la propria decisione che, dunque, non poteva considerarsi erronea.
Evidenziava la Cassazione, in particolare, come il ricorrente, nel contestare la sentenza di condanna, non avesse mai messo in dubbio la circostanza di aver “palpato in modo repentino il seno della ragazza”.
La Corte d’appello, dunque, aveva “correttamente ritenuto sussistente la condotta di violenza mediante atto repentino e ciò sulla base del racconto della ragazza che ha descritto un gesto (toccamento del seno) compiuto improvvisamente in modo da impedire qualsivoglia atto di dissenso, comportamento certamente insidioso perché costituito da azione rapida e subdola del G. che, dopo aver proferito apprezzamenti alla ragazza e "sviato" l’attenzione della vittima, mostrando interesse per la scritta sulla maglietta, ha posto in essere una condotta subdola e ingannevole (far finta di leggere la scritta sulla maglietta) che ha consentito la successiva condotta di toccamento del seno, compiuta improvvisamente”.
La Cassazione, pertanto, ribadiva il principio, già affermato nella sentenza n. 46170 del 2014, in base al quale “in tema di violenza sessuale, l’elemento oggettivo, oltre a consistere nella violenza fisica in senso stretto o nella intimidazione psicologica in grado di provocare la coazione della vittima a subire gli atti sessuali, si configura anche nel compimento di atti sessuali repentini, compiuti improvvisamente all’insaputa della persona destinataria, in modo da poterne prevenire anche la manifestazione di dissenso”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dall’imputato, condannando il medesimo al pagamento delle spese processuali.
La violenza sessuale si configura anche nel compimento di atti sessuali repentini, compiuti improvvisamente all’insaputa della persona destinataria, in modo da poterne prevenire la manifestazione di dissenso.