Al fine di comprendere le conclusioni raggiunte dalla Suprema Corte sul tema, pare utile ricordare in via preliminare che lo stupro di gruppo è un delitto previsto dall’ art. 609 octies c.p..
In particolare, tale norma
- definisce la violenza sessuale di gruppo come “partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale di cui all'articolo 609 bis c.p.”. Questi ultimi, nello specifico, consistono nel costringere la vittima, con violenze o minacce, a compiere o subire atti sessuali oppure nell’indurla a ciò mediante abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica o mediante sostituzione di persona;
- punisce chiunque commetta atti di violenza sessuale di gruppo con la reclusione da otto a quattordici anni;
- prevede una fattispecie autonoma di reato e non, invece, una mera circostanza aggravante del delitto di violenza sessuale;
- disciplina un’ipotesi di reato a concorso necessario proprio, in cui la pluralità di partecipi è elemento costitutivo del reato.
Ebbene, il Supremo Collegio ha richiamato il costante orientamento sul punto (cfr. Cass. n. 3348/2004) e chiarito che il reato di violenza di gruppo richiede, perché sia integrato, la simultanea effettiva presenza dei compartecipi nel luogo e nel momento di consumazione dell’illecito “senza che, peraltro, ciò comporti anche la necessità che ciascun compartecipe ponga in essere un’attività tipica di violenza sessuale, né che realizzi l’intera fattispecie nel concorso contestuale dell’altro o degli altri correi, potendo il singolo realizzare soltanto una frazione del fatto tipico ed essendo sufficiente che la violenza o la minaccia provenga anche da uno solo degli agenti”.
Anche il mero spettatore che partecipa allo stupro, quindi, potrà essere condannato per violenza sessuale di gruppo. Tuttalpiù si segnala che potrebbe ipotizzarsi l’operare del comma quarto della norma in oggetto, il quale dispone che la pena sia diminuita per il partecipante la cui opera abbia avuto minima importanza nella preparazione o nella esecuzione del reato.
Il triste caso giunto all’attenzione della Corte, in particolare, riguardava una violenza posta in essere da più soggetti nei confronti di una vittima portatrice di deficit cognitivo. In particolare, un solo membro del gruppo realizzava la condotta esecutiva, mentre un altro registrava un video e una ragazza presenziava, pronunciando anche frasi come “troppo forte raga quell’atro gli sta facendo pure il video”.
A quest’ultima, quindi, il GIP aveva applicato la misura cautelare dell’obbligo di firma, sicchè l’indagata aveva proposto richiesta di riesame.
Il Tribunale, però, aveva rigettato la richiesta e l’indagata aveva proposto ricorso per Cassazione. Ritenendo il ricorso inammissibile, allora, la Corte ha ribadito i principi sopra riportati.