Il termine, come noto, fa riferimento a una serie di comportamenti che abbiano una certa durata nel tempo posti in essere vuoi dal datore di lavoro, nel c.d. mobbing verticale, vuoi da altri colleghi nel mobbing orizzontale, allo scopo di isolare il lavoratore ed espellerlo dal luogo di lavoro.
Moltissimi sono gli episodi riferiti da lavoratori nelle cause risarcitorie per mobbing, quali rimproveri continui e “ingiustificati”, un sistematico demansionamento rispetto al ruolo rivestito dal dipendente, la mancata partecipazione a corsi di formazione, l’omesso coinvolgimento in tutta una serie di iniziative aziendali, sino alla forma più subdola, la non assegnazione di compiti lavorativi.
Infatti, il comportamento mobbizzante si può concretizzare tanto nel sottoporre il dipendente ad un esagerato carico di lavoro, quanto, al contrario, nel costringerlo ad una forzata e lunga inattività, anch'essa decisamente frustrante.
A ciò si aggiunga che le conseguenze dell’aver subìto questi comportamenti per un certo periodo di tempo, per il lavoratore, non sono certo di poco conto.
A causa della situazione in cui si è trovato a dover prestare la propria attività lavorativa, il dipendente può arrivare a manifestare vere e proprie patologie psichiche o subire dei danni psico-fisici anche rilevanti.
Non si tratta sempre e "solo" di episodi di disagio fisico quali cefalea, nausea, attacchi di panico, ansia, stress, ma anche dello sviluppo di vere e proprie patologie più gravi, che possono arrivare a colpire l’apparato cardio-circolatorio, con conseguenze deleterie per la salute dell’individuo.
A fronte di tutto questo, cosa può fare il lavoratore per vedersi tutelato?
Pur non esistendo nel nostro ordinamento giuridico una norma specifica che definisca, disciplini e sanzioni i comportamenti costituenti mobbing, la giurisprudenza, a fronte di casi sempre più frequenti, si è, negli anni, preoccupata di individuare gli strumenti di tutela più adeguati ed efficaci.
In primo luogo, il lavoratore che ne è vittima potrà agire in giudizio nei confronti del datore di lavoro al fine di ottenere il risarcimento dei danni patiti.
In base a quanto previsto dall'art. 2087 c.c., infatti, il datore di lavoro è tenuto a salvaguardare la salute psico-fisica del lavoratore, approntando tutte le misure necessarie a tale fine.
L’obbligo gravante sul datore di lavoro non riguarda solo la tutela fisica, ma anche la personalità morale del lavoratore, per consentire un’ampia protezione del diritto alla salute di cui all'art. 32 Cost.
Sotto il profilo penale, invece, chi lede la salute di un individuo, se dalla sua condotta derivi una malattia per chi ne è vittima, potrebbe essere chiamato a rispondere del reato di lesioni personali.
Inoltre, dal momento che la giurisprudenza richiede che i comportamenti siano ripetuti nel tempo e non si tratti di singoli episodi isolati o occasionali, potrebbe ritenersi integrato, se ne ricorrano tutti i presupposti, il reato di atti persecutori, comunemente detto “stalking” di cui all’art. 612 bis c.p.
Questi ultimi sono atti persecutori reiterati posti in essere nei confronti di una persona e che fanno sorgere nella stessa gravi stati di ansia o di paura, o fanno nascere un fondato timore per la propria incolumità, o ancora, costringono la vittima ad alterare le proprie abitudini di vita.
In definitiva, alla luce del quadro giurisprudenziale di riferimento, possiamo evincere che il soggetto che pone in essere comportamenti qualificabili come “mobbing” potrebbe venire chiamato a risponderne non solo sul piano risarcitorio, ma anche sotto il profilo penale.