Era attesa da quasi un anno una pronuncia da parte della
Corte Costituzionale in merito alla denunciata illegittimità costituzionale dell’articolo
580 del codice penale.
La
questione di legittimità era stata sollevata dalla Corte d’assise di Milano in sede di
processo penale nei confronti di Marco Cappato, esponente dell’
associazione Luca Coscioni, che aveva accompagnato Fabiano Antoniani (in arte Dj Fabo), il quarantenne milanese tetraplegico, a morire in Svizzera, come da lui richiesto. Cappato veniva per queste ragioni accusato del
reato di cui all’art.
580 c.p.,
istigazione o aiuto al suicidio.
La questione era giunta alla Corte già un anno fa, ma i giudici, data la delicatezza del tema, si erano riservati di darvi immediata risposta, concedendo al Parlamento undici mesi per legiferare in materia. Tuttavia, in questo lasso di tempo il Parlamento non è riuscito a trovare un accordo su un progetto di
legge e pertanto la Corte si è trovata dinanzi all’arduo compito di dare una risposta alla questione.
Il 25 settembre scorso la Corte si è così pronunciata con
sentenza, le cui motivazioni sono state depositate il 22 novembre. La Consulta ha stabilito che
non è punibile chi aiuta nel suicidio
"una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, ma che resta pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli".
Solo in presenza di queste precise condizioni, dunque, l’aiuto al suicidio è legittimo. La verifica di questi requisiti e delle relative modalità di esecuzione del suicidio, tuttavia, deve restare affidata, in attesa di un intervento legislativo, a strutture pubbliche del Servizio sanitario nazionale (SSN).
Tale verifica dovrà essere effettuata previo
parere del
comitato etico territorialmente competente, organo collegiale terzo, munito di competenze nella risoluzione dei problemi etici che emergono nella pratica sanitaria, il quale è in grado di garantire la tutela delle situazioni di particolare vulnerabilità.
La Corte ha rilevato che, di fatto, è già possibile accertare la capacità di autodeterminazione del paziente e il carattere libero e informato della scelta espressa, nonché la possibilità di coinvolgere l’interessato in un percorso di cure palliative, facendo riferimento a quanto stabilito negli articoli 1 e 2 della legge 219/2017 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento).
Tale legge, che ha introdotto nel nostro ordinamento la possibilità per il paziente di rifiutare i trattamenti sanitari nei suoi confronti lasciandosi morire ed ha previsto anche in queste circostanze l’impiego delle cure palliative per alleviarne le sofferenze, secondo la Corte può costituire un “punto di riferimento” anche per ricavarne una disciplina nel contesto del suicidio assistito.
Dunque, l'articolo
580 c.p. è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non esclude la
punibilità di chi agevola il proposito di suicidio,
autonomamente e liberamente formatosi, di un soggetto che versi nelle specifiche condizioni precedentemente indicate, a condizione che l'aiuto sia prestato con le modalità previste dai citati articoli 1 e 2 della legge 219/2017; questi presupposti vanno nel caso concreto verificati da una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente.
Le condizioni procedurali indicate valgono esclusivamente per i fatti successivi alla
pubblicazione della sentenza in esame, pertanto non possono essere richieste per fatti anteriori, come quello di Cappato. In questi casi, l'aiuto al suicidio potrà essere prestato anche con
modalità diverse da quelle indicate, ma purché queste siano state in grado di offrire
garanzie equivalenti quanto alla verifica delle condizioni fisiche del paziente, ai modi di manifestazione della sua
volontà e all’adeguata preventiva informazione da parte dei medici sulle possibili alternative.
La Corte, inoltre, ha precisato che questa causa di esclusione della punibilità non crea "alcun obbligo di procedere a tale aiuto in capo ai medici", infatti "resta affidato alla coscienza del singolo medico scegliere se prestarsi o no ad esaudire la richiesta del malato".