Da ultimo aveva promosso un procedimento per licenza di finita locazione ex art. 657 del codice di procedura civile.
Il conduttore si era opposto all'ulteriore azione giudiziaria solo tardivamente, adducendo motivi di natura ansioso depressivi, e contestualmente chiedendo in via riconvenzionale il risarcimento dei danni da "mobbing immobiliare" in quanto il locatore, per tutta la durata del rapporto contrattuale, lo aveva ripetutamente convenuto in giudizio, proponendo delle cause tutte dichiarate infondate e che spesso si erano concluse con una condanna per lite temeraria, al solo fine di risolvere la locazione ed indurlo a lasciare l'appartamento.
La Cassazione con la pronuncia la n. 5099 del 2017 ha riconosciuto che in questi casi può ritenersi sussistente un vero e proprio diritto al risarcimento del danno da “mobbing immobiliare”.
Preliminarmente va chiarito che il mobbing è quel fenomeno sociale, tipico di alcuni ambienti di lavoro, per il quale un soggetto pone in essere nei confronti di un'altra persona una serie di vessazioni che costituiscono una sistematica persecuzione.
Il termine "mobbing" è infatti utilizzato per descrivere l'illecito integrato non da una, ma da una pluralità di comportamenti molesti e/o discriminanti, che non possono essere considerati singolarmente bensì nella loro intrinseca connessione.
Secondo la Cassazione, il fatto poi che sussista un'apposita norma per la lite temeraria, e cioè per i casi di un'azione legale esperita con malafede e colpa grave, ossia con consapevolezza del proprio torto o con intenti dilatori o defatigatori, non ha rilevanza nei casi di "mobbing", poichè l'art. 96 del codice di procedura civile è norma posta a tutela della singola azione giudiziaria temerariamente intrapresa e non tutela il convenuto dalle sistematiche perpetrazioni di procedimenti infondati.