In particolare, se l’ufficio a cui è addetto un dipendente viene soppresso e il lavoratore viene adibito, per un certo periodo, a mansioni proprie di una categoria superiore, questi ha diritto alla relativa differenza retributiva?
Nel caso esaminato dalla Cassazione era successo proprio questo: un dipendente delle Poste aveva chiesto di essere assegnato nell’area dei “Quadri”, in quanto, l’Ufficio Ragioneria a cui era addetto era stato soppresso e, quindi, lui era stato addetto, per oltre sei mesi, ad un altro Ufficio, svolgendo mansioni proprie di una categoria retributiva superiore.
Di conseguenza, il lavoratore aveva agito in giudizio nei confronti delle Poste, chiedendo che il Giudice gli riconoscesse il diritto all’inquadramento nell’area superiore e quello al trattamento economico corrispondente.
Il Tribunale di Messima, in riforma della sentenza di primo grado, aveva accolto la domanda proposta dal lavoratore, dichiarando il suo diritto all’assegnazione nell’area “Quadri di secondo livello”, dal momento che l’art. 6 della legge n. 190 del 1985 stabilisce che “l’assegnazione alla categoria dei quadri diviene definitiva quando l’espletamento delle relative mansioni si sia protratta per tre mesi o per il periodo superiore fissato dai contratti collettivi”.
Le Poste decidevano, quindi, di impugnare la decisione del Tribunale dinanzi alla Corte di Cassazione, rilevando la violazione dell’art. 2103 cod. civ.
Secondo le Poste, in particolare, il lavoratore non aveva diritto di essere assegnato alla categoria superiore, in quanto il ruolo precedentemente svolto non esisteva più, essendo stato soppresso il relativo Ufficio.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione alle Poste, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
Evidenziava la Cassazione, infatti, che l’art. 2103, non presuppone che il posto di lavoro precedentemente ricoperto sia ancora sussistente, essendo sufficiente, come nel caso di specie, l’esistenza di una determinata funzione all’interno dell’azienda, che sia assegnata ad un dipendente.
Del resto, la Cassazione osservava che già con una precedente sentenza del 2004 (sentenza n. 12103/2004), era stato affermato il principio per cui “ai fini dell’acquisizione da parte del prestatore di lavoro del diritto all’assegnazione definitiva alle mansioni superiori dopo un periodo fissato dai contratti collettivi in conformità delle disposizioni di legge, ai sensi dell’art. 2103 c.c. e L. 13 maggio 1985, n. 190, art. 6, come sostituito dalla L. 2 aprile 1986, n. 106, art. 1, è irrilevante la soppressione formale nell’organigramma aziendale della posizione lavorativa corrispondente a quelle mansioni ove di fatto si sia protratta l’assegnazione del lavoratore al loro espletamento”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dalle Poste, condannando l’azienda anche al pagamento delle spese processuali.