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Separazione e riavvicinamento dei coniugi

Famiglia - -
Separazione e riavvicinamento dei coniugi
La Corte di Cassazione precisa quali caratteristiche debba avere il riavvicinamento dei coniugi in caso di separazione per poter considerare cessata la medesima.
Il Tribunale di Caltanissetta, con sentenza depositata il 23 giugno 2015, ha affrontato un interessante caso di divorzio fra coniugi.

Nel caso esaminato dal Tribunale, un coniuge aveva agito in giudizio chiedendo il divorzio dalla moglie; il ricorrente riportava che la convivenza tra loro era divenuta intollerabile sin dal 2008, tanto che i medesimi si erano separati.

Inoltre, sosteneva che la situazione reddituale della moglie fosse migliorata rispetto il passato, dal momento che la stessa percepiva due pensioni e aveva ereditato dalla madre la casa di abitazione, oltre altri beni.

Di conseguenza, il marito chiedeva che venisse dichiarato il divorzio con previsione di un assegno divorzile in favore della moglie non superiore a € 300.

La moglie si costituiva in giudizio, evidenziando che nel 2011 il Tribunalele aveva chiesto di ricostituire l’unità familiare”, con la conseguenza che la medesima era tornata a vivere con il marito fino a quando nel mese di settembre 2011 lo stesso decideva nuovamente “di abbandonare la casa familiare senza alcuna spiegazione”.

Pertanto, la moglie si opponeva all’accoglimento della domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio formulata da controparte, dal momento che non erano trascorsi i tre anni pieni dall’interruzione della convivenza, come prescritto dall’art. 3 della legge n. 898 del 1970.

La moglie “dava altresì atto di essere affetta da varie patologie e di dover acquistare medicinali per la somma di € 100,00 circa al mese”, mentre il ricorrente era “titolare di tre pensioni per un importo complessivo di € 2.600,00 circa mensili, oltre al TFR percepito successivamente alla omologa della separazione”.

Di conseguenza, la donna “chiedeva che le venisse corrisposto un assegno divorzile di € 1.000,00 mensili”.

Il Tribunale, per quanto riguarda la domanda di divorzio, ricordava che “l’art. 3 della legge 1 dicembre 1970, n. 898 e successive modifiche, prevede, quale requisito indispensabile al fine di ottenere la pronuncia in parola, che la separazione si sia protratta ininterrottamente per almeno tre anni a far tempo dalla avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al Presidente del Tribunale”.

Osservava il Tribunale come, “nello specifico, il pregresso stato di separazione tra i coniugi può legittimamente dirsi interrotto nel caso in cui si sia concretamente e durevolmente ricostituito il preesistente nucleo familiare nell'insieme dei suoi rapporti materiali e spirituali sì da ridar vita al pregresso vincolo coniugale, e non anche quando il riavvicinamento dei coniugi, pur con la ripresa della convivenza e dei rapporti sessuali, rivesta caratteri di temporaneità ed occasionalità”.

Nel caso di specie, invece, i testimoni ascoltati nel corso del giudizio avevano concordemente confermato che il ricorrente, tra il giugno e il settembre del 2011, aveva effettivamente ripreso la convivenza con la moglie e che i coniugi avevano anche passato alcuni giorni al mare con il figlio.

Il figlio della coppia, tuttavia, sentito sul punto, aveva “chiarito che tale situazione non era stabile, vi erano delle volte in cui il padre rimaneva a casa della madre e altre volte in cui andava via, si trattava di un tentativo del padre al fine di verificare la possibilità di ricostituire l’unione coniugale, terminato quando si è reso conto che la situazione non poteva più andare avanti”.

Sulla base di tali circostanza, secondo il giudice non ricorrevano “gli estremi dell’interruzione della separazione eccepita da parte resistente”, dal momento che “se da un lato è stata data certamente prova di un riavvicinamento da parte della coppia, anche con la ripresa (seppur parziale) della convivenza, è pur vero, dall’altro lato, che tale situazione non si sia concretizzata in una durevole ricostituzione della comunione di vita materiale e spirituale, anche tenuto conto della brevità del periodo in questione (circa tre mesi nel corso dell’estate del 2011)”.

Di conseguenza, secondo il giudice, andava accolta la domanda del ricorrente volta ad ottenere il divorzio, dal momento che non era intervenuta “alcuna concreta e durevole ricostituzione dell’unità familiare e permanendo l’irreversibile crisi del vincolo coniugale”.

Per quanto riguarda, invece, la determinazione dell’assegno divorzile in favore della moglie, il giudice osservava come il marito percepisse un reddito annuo di € 14.000,00, mentre la moglie ne percepiva uno di € 6.000,00 e aveva in eredità dalla madre diversi beni, tra cui l’immobile adibito a sua abitazione.

Secondo il giudice, inoltre, non risultavano altri elementi idonei a far ritenere che la situazione reddituale della moglie fosse peggiorata rispetto al momento della separazione.

In ogni caso, in base agli elementi raccolti, secondo il Tribunale doveva ritenersi che la moglie, fosse, “allo stato, priva di sufficienti mezzi di sussistenza”, con la conseguenza che doveva essere prevista, in favore della medesima, la corresponsione di un assegno divorzile, il cui importo non veniva cambiato rispetto a quello stabilito in sede di separazione.


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