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Scopre l'infedeltą della moglie curiosando nel suo cellulare

Famiglia - -
Scopre l'infedeltą della moglie curiosando nel suo cellulare
Non è violazione della privacy leggere gli sms del proprio coniuge/convivente e quanto ne può emergere può essere utilizzato come prova per l'addebito della separazione.

Il Tribunale di Roma, con una sentenza del 30 marzo 2016, ha affrontato, ancora una volta, il sempre tanto discusso tema dell’addebito della separazione (art. 151 del c.c., comma 2).

Nel caso esaminato dal Tribunale, il marito aveva chiesto la separazione dalla moglie, con addebito alla medesima, per violazione dell’obbligo di fedeltà.

La moglie chiedeva, a sua volta, l’addebito della separazione al marito, in considerazione della “perdurante violazione degli obblighi di assistenza e mantenimento posti in essere dal marito, sostenendo inoltre che la relazione tra i coniugi fosse deteriorata da molto tempo a causa del carattere dispotico del marito, estremamente geloso e sospettoso al punto da non consentirle di svolgere alcun tipo di attività in sua assenza”.

La moglie chiedeva, inoltre, “l’assegnazione della casa familiare e la corresponsione di un assegno di mantenimento pari ad € 750,00, oltre ad un assegno perequativo di uguale misura per le necessità del figlio”.

In particolare, il marito, a sostegno delle proprie ragioni, aveva prodotto una serie di riproduzioni fotografiche di SMS estratti dal telefono portatile della moglie e di alcune schermate della pagina facebook della moglie da cui emergevano le comunicazioni scritte intrattenute con un altro uomo.

In proposito, peraltro, un teste, amico di famiglia, aveva dichiarato di aver notato che sul profilo facebook della donna erano apparsi dei “messaggi con dei cuoricini” inviati dallo stesso uomo.

Quanto all’utilizzabilità di tali documenti, tuttavia, la moglie sollevava un’eccezione relativa alla violazione della normativa sulla privacy.

Il Tribunale, pronunciandosi sul punto, riteneva che “in un contesto di coabitazione e di condivisione di spazi e strumenti di uso comune quale quello familiare, la possibilità di entrare in contatto con dati personali del coniuge sia evenienza non infrequente, che non si traduce necessariamente in una illecita acquisizione di dati”.

Secondo il giudice, infatti, “è la stessa natura del vincolo matrimoniale che implica un affievolimento della sfera di riservatezza di ciascun coniuge e la creazione di un ambito comune nel quale vi è una implicita manifestazione di consenso alla conoscenza di dati e comunicazioni di natura anche personale, di cui il coniuge, in virtù della condivisione dei tempi e degli spazi di vita, viene di fatto costantemente a conoscenza a meno che non vi sia una attività specifica volta ad evitarlo”.

In tale contesto, dunque, il Tribunale osservava come non potesse considerarsi illecita “la scoperta casuale del contenuto di messaggi, per quanto personali, facilmente leggibili su di un telefono lasciato incustodito in uno spazio comune dell’abitazione familiare”.

Pertanto, secondo il giudice, non vi era stata alcuna acquisizione illecita di documenti, con la conseguenza che non occorreva affrontare la questione relativa all’utilizzabilità dei medesimi, ai fini di prova, nel giudizio civile.

Inoltre, secondo il giudice, mentre poteva ritenersi “provato che la resistente avesse in corso prima della separazione una relazione sentimentale con persona diversa dal coniuge”, la moglie non aveva fornito adeguata dimostrazione circa la “preesistenza di una crisi tra le parti”, così come non vi erano riscontri probatori circa il fatto che “il marito abbia fatto mancare la propria assistenza alla moglie, o l’abbia privata dei necessari mezzi di sussistenza”.

In proposito, va, infatti, precisato che, ai fini della pronuncia di addebito della separazione non è sufficiente dedurre una semplice violazione degli obblighi derivanti dal matrimonio, in quanto è necessario che tale violazione sia stata la causa vera e propria della separazione medesima.

Peraltro, secondo il giudice, anche il fatto che il marito avesse “deciso di chiudere il conto corrente che condivideva con lei, ed aprirne uno a sé intestato, di per sé non integra una violazione dei doveri matrimoniali ed è condotta del resto usuale in prossimità di una separazione”.

La causa della separazione, dunque, andava individuata, secondo il giudice, “nella infedeltà coniugale della moglie, nei cui confronti va emessa una pronuncia di addebito”.

Pertanto, non poteva essere riconosciuto alla moglie un assegno di mantenimento. Invece, andava confermata l’assegnazione della casa familiare al marito, dal momento che il figlio, venticinquenne, della coppia non risultava ancora economicamente autosufficiente ed aveva dichiarato di voler vivere col padre.

Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale dichiarava la separazione personale tra i coniugi, con addebito alla moglie, assegnando la casa coniugale al marito.


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