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Ricade sull’esecutato l’onere della prova per ottenere un’equa riparazione per irragionevole durata del processo

Ricade sull’esecutato l’onere della prova per ottenere un’equa riparazione per irragionevole durata del processo
Spetta al debitore esecutato fornire tutte le prove necessarie ai fini dell’ottenimento di un’equa riparazione per irragionevole durata del processo.
La Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 2909/2020, ha avuto modo di pronunciarsi in merito alla possibilità per il debitore esecutato di chiedere ed ottenere un’equa riparazione per l’irragionevole durata del procedimento esecutivo immobiliare da lui subito, nonché sul relativo onere probatorio.

Il caso esaminato dalla Suprema Corte traeva origine dal ricorso proposto alla Corte d’Appello da un soggetto in veste di debitore esecutato, il quale chiedeva, ai sensi dell’art. 1 bisdella l. n. 89/2001, la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento di un’equa riparazione per irragionevole durata del processo esecutivo immobiliare di cui era stato protagonista.
Tale ricorso, tuttavia, veniva rigettato con decreto, non essendo stato ritenuto sufficientemente provato l’interesse del ricorrente ad una celere definizione della procedura esecutiva.

La parte soccombente, dunque, si rivolgeva alla Corte d’Appello territorialmente competente, proponendo opposizione contro detto decreto ex art. 5 ter della l. n. 89/2001. Con il proprio atto di opposizione la parte attrice eccepiva di aver fornito la prova relativa al suo interesse ad una definizione della controversia esecutiva in tempi rapidi, e rilevava, inoltre, come il ritardo nella sua definizione fosse da attribuire esclusivamente all’inerzia dell’organo giudicante e del suo apparato complessivo.
La Corte adita rigettava l’opposizione, ritenendo che la presunzione di danno non patrimoniale derivante dalla pendenza di un procedimento giudiziario, non operi in relazione al debitore esecutato, ricadendo su di esso l’onere di allegare e provare il suo specifico interesse ad ottenere una rapida soluzione della controversia. Tale onere, secondo i giudici d’appello, non era stato assolto dal ricorrente, il quale era rimasto, in tal senso, totalmente inerte.

Il ricorrente ricorreva, così, dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando il fatto che la Corte territoriale avesse errato nell’escludere che dalla durata eccessiva di un processo possa derivare, in via presuntiva, un pregiudizio di natura non patrimoniale. Secondo il ricorrente, infatti, il giudice di secondo grado avrebbe tenuto conto soltanto della sua condotta, non considerando gli altri criteri interpretativi delineati dal secondo comma dell’art. 2 della l. n. 89/2001. Veniva, altresì, eccepita l’erroneità della decisione impugnata per aver escluso l’operatività della norma citata in relazione alla posizione del debitore esecutato.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso per infondatezza dei motivi addotti.
Secondo gli Ermellini, il giudice dell’opposizione non ha fatto altro che uniformarsi al principio di diritto più volte affermato da un orientamento consolidato della stessa Cassazione, in base al quale, in primo luogo, la presunzione di danno non patrimoniale da irragionevole durata del processo esecutivo non opera per l’esecutato, poiché egli riceve un danno giusto dall’esito del processo di cui è parte.
Sulla base di questo assunto, per i giudici di legittimità, ai fini dell'equa riparazione da durata irragionevole del processo, l'esecutato ha l'onere di provare l’esistenza di un suo specifico interesse alla celerità dell'espropriazione, dimostrando che l'attivo pignorato o pignorabile fosse sin dall’origine sufficiente sia a consentire il pagamento delle spese esecutive, sia a soddisfare tutti i creditori, nonché che spese ed accessori sono aumentati per via tempi processuali in modo tale da azzerare o ridurre l'ipotizzabile residuo attivo o la restante garanzia generica, altrimenti idonea a soddisfare le pretese creditorie.




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