La IV sezione penale della
Corte di Cassazione, con la
sentenza n. 30626 del 12 luglio 2019, è tornata di recente ad occuparsi di un caso di
responsabilità medica d’équipe.
Tale modello di responsabilità si lega strettamente con il principio di affidamento, elaborato da diversi anni in sede giurisprudenziale.
In virtù di tale principio, il titolare di una posizione di garanzia - in questo caso in ambito sanitario - è legittimato a fare affidamento sul comportamento diligente dei suoi collaboratori.
Tale necessità si presenta spesso nell’ambito del lavoro di équipe, quando nel realizzare l’intervento medico-chirurgico ogni professionista, pur con diverse competenze e specializzazioni, ripone fiducia nell’operato dei colleghi, confidando nella loro preparazione e diligenza.
Se da una parte, però, il principio di affidamento è legittimo, è anche vero che si può configurare un’ipotesi di responsabilità per errore altrui in capo al soggetto apicale, solitamente il primario, il quale è tenuto ad assumere degli atteggiamenti di controllo e di vigilanza nei confronti dell’operato dei colleghi.
Tale dovere di vigilanza e controllo, tuttavia,
non è senza limiti, pena la configurabilità di un’inammissibile “responsabilità da posizione”, che andrebbe inevitabilmente a ledere il principio di personalità della
responsabilità penale sancito dall’art.
27 della Costituzione.
È vero che nell’ambito della c.d. “colpa multidisciplinare” la mancata osservanza dell’obbligo cautelare può condurre ad una responsabilità di tipo concorsuale; tuttavia, deve sempre e comunque essere provato un addebito a titolo di colpa, per evitare di incorrere nella violazione del sopracitato principio di personalità della responsabilità penale.
L’errore altrui, affermano in altri termini gli ermellini, deve rientrare in quel bagaglio di conoscenze comune a qualunque medico anche non specializzato nella materia.
L’accertamento del nesso causale, infatti, deve sempre essere compiuto riguardo alla condotta individuale di ciascuno, “non potendosi configurare”, afferma la Cassazione, “una responsabilità di gruppo in base ad un ragionamento aprioristico”.
Non è sufficiente, quindi, accertare la “valenza con-causale” del comportamento del medico, ma occorre dimostrare anche la “rimproverabilità sul piano soggettivo secondo i noti criteri elaborati dalla giurisprudenza e dalla dottrina in tema di colpa”.
Per concludere, i giudici hanno annullato con rinvio la sentenza di condanna nei confronti del medico chirurgo rilevando come lo scorretto posizionamento dei divaricatori non fosse immediatamente percepibile e rilevando come il principio per cui ogni sanitario è tenuto alla vigilanza dell’operato altrui “non opera in relazione alle fasi dell’intervento in cui i ruoli e i compiti di ciascun operatore sono distinti [...] non potendosi trasformare l’onere di vigilanza in un obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione negli spazi di competenza altrui”.