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Il rapporto tra il diritto penale è il credo religioso: reati culturalmente orientati

Il rapporto tra il diritto penale è il credo religioso: reati culturalmente orientati
Le proprie convinzioni religiose, per quanto ferree e condivise, non scriminano quelle condotte che si pongono in contrasto degli ordinari principi posti a tutela degli individui.
Con una interessantissima pronuncia (sentenza n. 49306 del 22 novembre 2022, così depositata il 28 dicembre 2022), la terza sezione penale della Suprema Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in tema di “reati culturalmente orientati”, ribadendo il consolidato orientamento giurisprudenziale posto a tutela dei diritti protetti da elementari principi di civiltà giuridica. In particolare, la Cassazione si è occupata di delineare puntualmente il discrimen tra il reato ex art. 572 del c.p. e quello di abuso di messi di correzione, disciplinato dall’art. 571 del c.p.. La questione giuridica sottoposta all’attenzione degli Ermellini riguardava particolarmente l’incidenza, nella qualificazione del fatto, della nazionalità degli imputati e del loro credo religioso.

Prima di entrare in media res, la Cassazione si sofferma di nuovo sul significato di correzione, sintagma ripreso dall’art. 571 c.p.. Secondo l’interpretazione comunemente data dalla giurisprudenza di legittimità, il termine correzione deve essere correttamente interpretato come sinonimo di educazione. Per l’effetto, l’uso della violenza non può mai essere finalizzato a scopi educativi e ciò per diversi motivi: da un lato, il primato che l’ordinamento attribuisce alla persona umana, essendo la Costituzione una carta indubbiamente individualistica e personalistica; dall’altro, per la tutela del minore, passato dall’essere un oggetto di tutela al diventare un soggetto titolare di diritti. Da ultimo ed ad abundantiam, gli Ermellini ritengono che la violenza sia totalmente diseducativa in quanto con essa non è possibile perseguire un armonico sviluppo di personalità, sensibile ai valori di pace, di tolleranza e di solidarietà. Alla luce di tale analisi, è agevole rilevare che l'eccesso di mezzi di correzione violenti non è suscettibile ad essere ricompresa nel perimetro applicativo dell’art. 571 c.p., in quanto l’impiego sistematico di violenza quale ordinario trattamento del minore, anche là dove fosse sostenuto da animus corrigendi, integra il più grave delitto di maltrattamenti ex art. 572 c.p..
Entrando in media res, invece, ad avviso degli Ermellini le considerazioni sopra raggiunte non sono scalfite dal contesto culturale in cui gli episodi si inseriscono. Nel caso di specie, la difesa dell’imputato lamentava la mancata derubricazione del reato di maltrattamenti in quello di abuso dei mezzi di correzione, in quanto le condotte sono maturate in un clima frutto della rigida cultura degli imputati (egiziani). Ad avviso della Corte, tuttavia, la nazionalità e la religione degli imputati, con tutto il corollario applicativo di credi, convinzioni e principi su cui si basano, non valgono in nessun caso a scriminare ex art. 51 del c.p. il soggetto agente per le conso come non vale a scriminare l’agente dal reato ex art. 572 c.p. non potendosi avallare condotte ex art. 572 del c.p. in quanto in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano attraverso la Costituzione tutela. L’art. 29 Cost. in combinato disposto con l’art. 2 Cost. tutela infatti la personalità dell’uomo in ogni cellula sociale in cui dispiega la propria attività. Corollario applicativo di tale impostazione sono proprio i reati posti a tutela della famiglia che, nell’ormai orientamento consolidato della Cassazione, tutela non più il nucleo familiare in una concezione pubblicistica ma i diritti individuali delle persone che compongono la famiglia, che vedono tale luogo come primo posto di sviluppo della personalità e presidio dei diritti inviolabili.

In sintesi, metodi educativi (nel caso di specie i genitori spezzavano addosso ai minori pezzi di ferro, cinture e persino di cavi della televisione ai fini di percuoterli) che rappresentano il portato di una particolare religione non possono intaccare quel nucleo fondamentale di diritti umani riconosciuti dalla Costituzione e, per l’effetto, va confermata la configurazione del reato di maltrattamenti in famiglia quando questi siano connotati da modalità particolarmente violente e diseducative.


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