La Suprema Corte ha confermato la condanna poiché la condivisione tramite il proprio stato di WhatsApp di contenuti lesivi per la reputazione di una donna. I contenuti erano talmente specifici da permettere di stabilire la riferibilità alla donna.
Rilevante è stata la constatazione che quei contenuti erano visibili da contatti presenti nella rubrica dello smartphone dell'uomo. La questione, legata alla possibilità di applicazione utilizzata dall'imputato di escludere la visione dello stato a tutti od ad alcuni dei contatti presenti, è inammissibile e del tutto irrazionale: se questa fosse stata la vera intenzione, sarebbe stato sufficiente mandare un messaggio individuale.
Sulla richiesta di applicazione delle attenuanti generiche, i Supremi giudici hanno affermato che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione, non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che faccia riferimento a quelli decisivi o, in ogni caso, rilevanti. Verranno considerati disattesi o superati tutti gli altri.