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Pensione 2025, ecco quanto devi guadagnare se lavori part-time: scopri cosa rischi se guadagni poco e cosa devi fare

Pensione 2025, ecco quanto devi guadagnare se lavori part-time: scopri cosa rischi se guadagni poco e cosa devi fare
Chi potrebbe negare di non avere mai pensato, sotto stress per il lavoro, di ridurre le ore lavorative per dedicare del tempo a sé? Vediamo insieme le implicazioni di questa scelta
In Italia, la legge prevede che l'orario di lavoro normale sia di 40 ore settimanali. Però, spesso, i contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL) prevedono un orario settimanale più basso (ad esempio, di 37 ore settimanali).

Quando il contratto individuale di lavoro prevede l'orario di lavoro normale settimanale, allora è un contratto a tempo pieno. Invece, se il contratto individuale prevede un orario più basso di quello normale (ad esempio, solo 20 ore settimanali), si tratta di un part-time.

In linea di massima, se hai diritto al passaggio in part-time, il datore di lavoro non potrà scegliere: tu chiedi, lui accoglie. Se la legge dice che non hai questo diritto, il datore di lavoro potrà liberamente decidere se accettare o meno la tua richiesta.
Ebbene, la legge (art. 8 del D. lgs. 15 giugno 2015, n. 81) prevede questo diritto per i lavoratori del settore pubblico e privato con ridotta capacità lavorativa, poiché colpiti da malattie oncologiche o gravi patologie cronico-degenerative che peggiorano con il tempo (ad esempio, sclerosi multipla).
Ancora, c'è il diritto al part-time anche per i lavoratori neogenitori che, invece di sfruttare il congedo parentale, chiedono la trasformazione in part-time, a condizione che ci sia una riduzione dell'orario al massimo del 50%.
Inoltre, pure le lavoratrici che hanno subito violenza di genere hanno questo diritto, ma a patto che ci sia disponibilità in organico.
Peraltro, ci sono casi in cui la legge non riconosce un diritto, ma una priorità del lavoratore, rispetto ad altri dipendenti, nel passaggio al part-time.

Se si lavora part-time - o si ha un reddito che potrebbe non raggiungere la soglia minima - è essenziale essere consapevoli delle implicazioni a lungo termine.
In particolare, la questione dei contributi pensionistici legati al reddito è spesso sottovalutata, ma può avere, anzi, ripercussioni significative sul lungo periodo. In effetti, se non si raggiunge la soglia minima di retribuzione giornaliera, anche se si lavora regolarmente, si rischia di accumulare meno settimane contributive rispetto a quelle effettivamente lavorate.
Nel caso di contratti part-time, la situazione è ancora più complessa. Nonostante si possieda un "anno di lavoro", il numero di settimane che contano ai fini pensionistici potrebbe essere inferiore, a causa di un guadagno non sufficiente per coprire il minimo necessario. Questo implica che si potrebbe essere costretti a lavorare per più anni, per ottenere lo stesso ammontare di settimane contributive di chi ha un contratto a tempo pieno.
L'aggiornamento dell'Inps sul minimo di retribuzione giornaliera è un passo importante per chiarire queste dinamiche, perché dà un'idea precisa di quanto bisogna guadagnare per ogni settimana lavorata. Come accennato, questo non influisce solo sulla pensione, ma anche su altre prestazioni come la Naspi (indennità di disoccupazione), che è calcolata anch'essa sulla base dei contributi versati.


Esistono due principali tipologie di contratto part-time:
  • Il part-time orizzontale è il più comune e consiste nella riduzione delle ore lavorative distribuite su ogni singola giornata. Un esempio tipico è il lavoratore che svolge 4 ore al giorno per 5 giorni alla settimana, accumulando un totale di 20 ore settimanali.
  • Il part-time verticale, invece, prevede che il lavoratore svolga l'orario completo (ad esempio 8 ore al giorno), ma solo per un periodo limitato, come nel caso di un impiego per 8 ore al giorno per due settimane al mese.

Dal punto di vista pensionistico, non c'è alcuna differenza tra il part-time orizzontale e quello verticale. La legge n. 178 del 30 dicembre 2020 ha, infatti, stabilito che entrambi i tipi di part-time, se svolti in modo regolare, siano riconosciuti interamente ai fini dell'anzianità lavorativa necessaria per ottenere la pensione.
Tuttavia, affinché il periodo di lavoro part-time venga riconosciuto per intero ai fini pensionistici, è necessario - come si anticipava - che la retribuzione annuale raggiunga un determinato limite, fissato annualmente. In particolare, il valore minimo della retribuzione settimanale deve essere pari almeno al 40% del trattamento minimo di pensione in vigore all'inizio dell'anno.

Nel 2025, il trattamento minimo di pensione è fissato in 603,40 euro, con una retribuzione settimanale minima di 241,36 euro e un limite annuale di 12.550,72 euro. Se la retribuzione percepita dal lavoratore è inferiore a questa soglia, i contributi pensionistici verranno riconosciuti in misura proporzionale al reddito effettivamente percepito.
Per esempio, se un lavoratore con contratto part-time percepisce 500 euro al mese (6.000 euro l'anno) per 20 ore settimanali, la sua retribuzione settimanale sarebbe di 115,38 euro. In questo caso, solo 24 settimane contributive verrebbero riconosciute, anziché le 52 settimane previste per un anno di lavoro a tempo pieno.
Quindi, con una retribuzione inferiore al minimo necessario, il lavoratore dovrà prolungare il periodo lavorativo per accumulare i 20 anni di contributi necessari per andare in pensione. Nel caso dell'esempio sopra, potrebbero essere necessari circa 43 anni di lavoro per raggiungere i requisiti minimi.

Per chi si trova in questa situazione, le opzioni di riscattare gli anni di lavoro part-time o di guadagnare contributi volontari sono strumenti utili, anche se comportano un costo significativo.

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