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L’operatore sanitario che rinchiude i pazienti in una stanza risponde di sequestro di persona

L’operatore sanitario che rinchiude i pazienti in una stanza risponde di sequestro di persona
Risponde del più grave reato di sequestro di persona, e non di quello di violenza privata, l’operatore che impedisce ai degenti di uscire dalla stanza in cui si trovano per non essere disturbato durante il servizio notturno.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 32803 del 28 gennaio 2019, si è occupata del delicato caso di un operatore sanitario condannato a quattro anni e sei mesi di reclusione per aver utilizzato nei confronti dei suoi degenti metodi del tutto inadeguati rispetto alla professione svolta.
Più in particolare i pazienti, affetti da gravi handicap psichiatrici, erano stati immobilizzati, indotti ad un’alimentazione forzata, e abbandonati dal punto di vista dell’igiene personale.
In più, l’operatore sanitario aveva pensato di utilizzare un materassino per bloccare la porta d’uscita, costringendo quindi i degenti a rimanere rinchiusi nella stanza in cui si trovavano, vedendo gravemente compromessa la loro libertà di spostamento. Tale fatto era inoltre aggravato per aver l’operatore abusato dei poteri inerenti ad un pubblico servizio, ai sensi del n. 9 dell’art. 61 del c.p..
Ha concorso a peggiorare la posizione dell’operatore il fatto che dall’istruttoria sia emerso come il comportamento da lui tenuto risultasse abituale e non circoscritto ad un singolo episodio. Tale atteggiamento nasceva, tra l’altro, da futili esigenze personali, tra le quali quella di non essere eccessivamente disturbato durante il proprio servizio notturno.
Il tribunale di merito ha quindi configurato la condotta dell’imputato quale ipotesi tipica di sequestro di persona, delitto configurato dall’art. 605 del c.p., che consiste nel privare taluno della libertà personale mediante coercizione.
I giudici della Cassazione, nel porre la distinzione tra il reato di sequestro di persona e quello meno grave di violenza privata, hanno affermato che, pur avendo in comune i due delitti l’elemento della coercizione, il sequestro di persona va a colpire direttamente la libertà di movimento della vittima.
Non è stata quindi accolta la richiesta della difesa di riqualificare il delitto di sequestro di persona in quello di violenza privata, disciplinato dall’art. 610 del c.p..
Mentre, infatti, con il delitto di violenza privata si punisce la condotta del soggetto che lede la “libertà psichica di autodeterminazione del soggetto passivo”, nel caso di sequestro di persona si vuole reprimere la limitazione alla libertà di movimento, assoluta o relativa, inferta ai pazienti. “Per il principio di specialità di cui all’art. 15 c.p.”, affermano gli ermellini, "non è configurabile il delitto di violenza privata qualora la violenza, fisica o morale, sia stata usata direttamente ed esclusivamente per privare la persona offesa della libertà di movimento”.


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