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Medico svolge la professione di odontoiatra in assenza di titolo abilitativo: condannato per "esercizio abusivo di una professione"

Sanità - -
Medico svolge la professione di odontoiatra in assenza di titolo abilitativo: condannato per "esercizio abusivo di una professione"
Ai fini della configurabilità del reato di "esercizio abusivo di una professione" è necessario che l'imputato sia privo del titolo di abilitazione all'esercizio della professione perchè mai conseguito o perchè venuto meno a seguito di provvedimento di sospensione o di cancellazione dall'albo.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2691 del 22 gennaio 2018, ha fornito alcune interessanti precisazioni in tema di “esercizio abusivo di una professione” (art. 348 c.p.).

Il caso sottoposto all’esame della Cassazione ha visto come protagonista un medico, che era stato sottoposto a procedimento penale per il reato di cui all’art. 348 c.p. (esercizio abusivo della professione), in quanto il medesimo avrebbe esercitato, presso una struttura sanitaria privata, la professione di odontoiatra, pur non essendo egli iscritto al relativo albo professionale, istituito con la l. n. 409 del 1985.

La Corte d’appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza di primo grado, emessa dal Tribunale di Pordenone, aveva confermato la penale responsabilità dell’imputato, il quale decideva, dunque, di rivolgersi alla Corte di Cassazione.

Osservava il ricorrente, in particolare, che le testimonianze assunte in corso di causa avrebbero confermato che egli si sarebbe limitato, in qualità di “medico chirurgo altamente specializzato in odontostomatologia, chirurgia orale e implantologia”, a coadiuvare o assisterel'odontoiatra o il chirurgo maxillo-facciale, di volta in volta impegnato”.

Secondo il ricorrente, peraltro, non vi sarebbe “una riserva di legge in favore degli odontoiatri nell'esecuzione di interventi di odontostomatologia - branca della medicina che si occupa della cura della bocca e del cavo orale, di chirurgia orale e di implantoprotesi “, così come mancherebbe “una previsione normativa che faccia divieto al laureato in Medicina e Chirurgia dell'esercizio degli indicati interventi”.

Precisava l’imputato, peraltro, che la Corte d’appello non avrebbe adeguatamente tenuto in considerazione il fatto che l’art. 13 del d.p.r. n. 221 del 1950 prevede che il presupposto del libero esercizio della professione oggetto di contestazione era l’iscrizione all’albo dei medici-chirurghi.

Infine, il ricorrente evidenziava di non essersi mai qualificato come “odontoiatra”, avendo egli esercitato solamente il ruolo di “direttore sanitario”, vigilando sull’operato degli odontoiatri che operavano presso la struttura sanitaria di cui egli faceva parte.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle considerazioni svolte dall’imputato, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.

La Cassazione procedeva, in primo luogo, a definire il reato di “esercizio abusivo di una professione”, precisando che si tratta di un delitto introdotto nel nostro ordinamento al fine di “tutelare gli interessi generali, a cui è legato l'esercizio di alcune professioni”.

Ai fini della configurabilità del reato, poi, secondo la Cassazione, è necessario che l’imputato sia privo della necessaria abilitazione all’esercizio della professione in questione, indipendentemente dal fatto che tale titolo non sia mai stato conseguito o che lo stesso sia venuto meno a seguito di un provvedimento di sospensione o della mancata iscrizione all’albo professionale.

Ebbene, nel caso di specie, la Cassazione riteneva che la Corte d’appello avesse adeguatamente motivato la propria decisione e che, al contrario, il ricorrente non fosse riuscito “ad evidenziare con puntualità carenze, contraddittorietà o manifeste illogicità” della decisione stessa.

Osservava la Cassazione, infatti, che i giudici d’appello, sulla base prove raccolte in corso di causa, avevano accertato che l’imputato aveva praticato personalmente “prestazioni proprie dell'attività odontoiatrica”, pur non essendo iscritto al relativo albo, e che tale attività non era stata svolta all’interno di equipe formata, altresì, da odontoiatri.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dall’imputato, confermando integralmente la sentenza impugnata.


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