Non tutti gli episodi, fortunatamente, giustificano una sanzione così grave, come quella dello scioglimento del rapporto di lavoro, ma è anche vero che occorre prestare particolare accortezza per evitare che da un semplice scambio di opinioni tra colleghi si passi addirittura, alle vie di fatto, con inevitabili conseguenze sotto il profilo disciplinare.
Si può notare come, in questi ultimi anni, si siano registrate pronunce della Corte di Cassazione con esiti discordanti, per cui, in alcuni casi, si è ritenuta giustificata la misura del licenziamento, e in altri, invece, decisamente sproporzionata rispetto alla “gravità” della condotta.
La valutazione, infatti, deve essere effettuata in concreto, imponendosi un'analisi “caso per caso”, sulla base del particolare atteggiarsi delle vicende portate all'attenzione del giudice.
Di recente, la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 19458/2018, si è occupata di un caso di litigio sul luogo di lavoro tra dipendenti di un’azienda, sfociato in aggressione fisica nei confronti dell’altra persona e, per di più, alimentato da futili motivi.
L’azienda, trattandosi di questione significativa, decideva di avviare un procedimento disciplinare nei confronti del soggetto “aggressore” al termine del quale, il lavoratore veniva licenziato.
Quest’ultimo impugnava il licenziamento e chiedeva di essere reintegrato nel posto di lavoro.
Nel corso del giudizio, tuttavia, venivano ritenuti provati i fatti di causa, anche attraverso prove testimoniali con dichiarazioni rese da chi aveva visto l’aggressione.
La sanzione del licenziamento, osservava la Suprema Corte, era perfettamente congrua e proporzionata rispetto alla condotta tenuta, in considerazione della perdita di autocontrollo da parte del dipendente che, peraltro, risultava ingenerata da motivi assolutamente futili.
In questa situazione, non poteva che venire meno la fiducia nutrita dal datore di lavoro nei confronti del lavoratore, in aggiunta al timore che un soggetto che non è in grado neppure di seguire le regole del vivere civile, possa facilmente non rispettare la disciplina aziendale.
In questo caso, dunque, la scelta del datore di lavoro di sciogliersi dal rapporto contrattuale che lo legava al lavoratore veniva ritenuta legittima.
Se si passa alle vie di fatto, è, dunque, importante comprendere, se i lavoratori vi siano arrivati "consensualmente" o se l’aggressione fisica sia stata iniziata da uno solo di essi ai danni dell’altro.
Così, ad esempio, una semplice “spallata” nei confronti di un collega non può ragionevolmente essere considerata particolarmente grave, se non sia accompagnata dalla perdita dell’equilibrio o da altre conseguenze, e, comunque, non vi siano turbamenti nello svolgimento complessivo dell’attività lavorativa (Corte di Cassazione, sent. n. 2830/2016).
In diversa situazione, in cui una lavoratrice, a seguito di un litigio con il proprio collega, usciva sbattendo la porta allontanandosi dal posto di lavoro, la sanzione del licenziamento veniva giudicata dalla Corte di Cassazione eccessiva (20846/2009) rispetto alla condotta. Infatti, questo episodio isolato non aveva comportato particolari rischi per l’azienda.
In sintesi, per giustificare un licenziamento, il litigio deve aver determinato un’incompatibilità ambientale, con riferimento al luogo di lavoro, in cui è, al contrario richiesto a tutti coloro che vi prestano la propria attività di collaborare per il bene dell’azienda.
Insomma, alla luce dei recenti approdi della giurisprudenza, non è poi così difficile che un litigio, beninteso con certe caratteristiche, possa anche far perdere, oltre alla serenità, il posto di lavoro.