Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Roma aveva confermato la sentenza con cui il Tribunale di Viterbo aveva rigettato l’impugnazione del licenziamento proposta da un lavoratore invalido.
Nello specifico, il lavoratore in questione era stato licenziato per “mancato superamento della prova” e il Tribunale aveva evidenziato che, dagli accertamenti effettuati in corso di causa, “era emerso che il ricorrente – addetto al magazzino per l’inserimento al pc dei pezzi prodotti o venduti e degli ordini e delle bolle di consegna – doveva essere costantemente coadiuvato da altro addetto in quanto non in grado di svolgere in maniera idonea le mansioni assegnategli”.
Ritenendo la decisione ingiusta, il lavoratore decideva di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Il lavoratore osservava, in particolare, di aver dimostrato impegno a svolgere le mansioni assegnategli e che egli, alla mattina, prestava servizio in un ambiente in cui era in corso la produzione, nonostante non potesse teoricamente lavorare in ambienti polverosi, avendo subito un trapianto di fegato.
Evidenziava il ricorrente, inoltre, di essersi trovato a svolgere anche mansioni diverse da quelle per le quali era stato assunto.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione al lavoratore ricorrente, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
Rilevava la Cassazione, sul punto, che il licenziamento intimato nel corso o al termine del periodo di prova ha natura discrezionale e non deve essere motivato, “neppure in caso di contestazione in ordine alla valutazione della capacità e del comportamento professionale del lavoratore stesso”.
Secondo la Cassazione, inoltre, spetta al lavoratore licenziato di provare “sia il positivo superamento del periodo di prova, sia che il recesso è stato determinato da un motivo illecito e quindi, estraneo alla funzione del patto di prova”.
Per quanto riguarda, poi, il caso specifico di un lavoratore invalido, la Cassazione precisava che la legge n. 482 del 1968 prevede che il contratto di lavoro possa essere stipulato con patto di prova, “a condizione che le mansioni affidate siano compatibili con la minorazione dell’invalido” e che, in caso di esito negativo della prova, il lavoratore possa essere licenziato, purchè il datore di lavoro indichi le “ragioni (serie ed obiettive) che non hanno consentito il superamento del periodo di prova, indipendentemente da qualsiasi valutazione della minorazione dell’invalido”.
Pertanto, se tali ragioni sono indicate, è il lavoratore che dovrà dimostrare “eventuali motivi illeciti o discriminatori” posti alla base del licenziamento.
Ebbene, nel caso di specie, poiché il lavoratore non aveva fornito alcuna prova circa l’illiceità dei motivi posti alla base del licenziamento e poiché il datore di lavoro aveva adeguatamente indicato le ragioni poste alla base del licenziamento stesso, la Corte di Cassazione riteneva di dover rigettare il ricorso proposto dal lavoratore, confermando integralmente la sentenza impugnata e condannando il ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.