Di recente la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro è stata chiamata a pronunciarsi sul ricorso proposto da un lavoratore, che sosteneva di essere stato illegittimamente licenziato dalla società datrice di lavoro.
Motivo del licenziamento, nello specifico, era stato il rifiuto, da parte del lavoratore, di seguire dei corsi di formazione.
Sia il Tribunale, in primo grado, che la Corte di Appello avevano dato torto al lavoratore.
Nel giudizio di merito era emerso, appunto, che il lavoratore licenziato aveva rifiutato di approfondire lo studio di alcuni sistemi operativi, come gli era stato richiesto dal suo diretto superiore gerarchico.
Questo rifiuto era risultato ingiustificato: infatti il lavoratore non era impegnato in altre commesse.
Per di più, l’attività formativa che il dipendente avrebbe dovuto svolgere sarebbe stata gratuita per il lavoratore stesso, sia nel senso che non avrebbe comportato spese a carico del dipendente, sia nel senso che egli non avrebbe neppure dovuto usufruire di permessi o sacrificare il proprio tempo libero.
Secondo la Corte di Appello, il lavoratore aveva tenuto un comportamento passivo e privo di spirito di collaborazione presso il cliente, rifiutando di svolgere attività di aggiornamento dei sistemi presso di lui, nonostante rientrassero nelle sue competenze sistemistiche generali.
Pertanto, il giudice di secondo grado aveva giudicato “di rilevante gravità” il comportamento del lavoratore, tale da giustificare il licenziamento, anche alla luce del carattere volontario di tale comportamento.
Anche la Cassazione ha respinto le richieste del lavoratore.
Infatti, secondo la Suprema Corte, era corretta la decisione della Corte di Appello, perché rispettava i criteri giurisprudenziali utilizzati per definire i concetti di giusta causa, giustificato motivo soggettivo e proporzionalità del licenziamento.
Sempre secondo la Cassazione, la Corte di Appello aveva correttamente motivato la propria decisione sulla base della gravità dell’insubordinazione commessa dal lavoratore.
La Suprema Corte, in particolare, sottolinea che il comportamento del dipendente risultava privo di qualsiasi giustificazione. Il rifiuto di svolgere l’attività di formazione era stato “persistente e volontario”, e costituiva violazione degli obblighi di diligenza e di esecuzione delle direttive date dai superiori.
La Corte, infine, precisa espressamente che le direttive che il lavoratore deve rispettare sono anche quelle riguardanti le “esigenze di formazione e accrescimento professionale necessarie per il proficuo impiego del dipendente”.