Il Legislatore, in forza del D.Lgs. 27 dicembre 2023 n. 209 in materia di fiscalità internazionale, ha modificato la definizione di residenza delle persone fisiche a fini fiscali.
La nuova normativa è entrata in vigore a partire dallo scorso 1 gennaio.
L'articolo 2, comma 2, del TUIR (Testo unico delle imposte sui redditi) di cui al Decreto del Presidente della Repubblica del 22 dicembre 1986, n. 917, è sostituito dal seguente:
“Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d'imposta, considerando anche le frazioni di giorno, hanno la residenza ai sensi del codice civile o il domicilio nel territorio dello Stato ovvero sono ivi presenti.
Ai fini dell'applicazione della presente disposizione, per domicilio si intende il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona. Salvo prova contraria, si presumono altresì residenti le persone iscritte per la maggior parte del periodo di imposta nelle anagrafi della popolazione residente.”
La disciplina previgente stabiliva, invece, che: “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile.”. A sua volta, l’art. 43 del codice civile stabilisce che “Il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi. La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale.”
La ratio della nuova norma è, evidentemente, quella di estendere la platea di soggetti fiscalmente residente in Italia a soggetti che fino al 31 dicembre 2023 potevano essere soggetti, esclusivamente, alla tassazione, presumibilmente più favorevole, imposta da altro Stato.
Il Legislatore ha, poi, voluto considerare residente in Italia chi è presente nel Bel Paese per la maggior parte dell’anno d’imposta ovvero per più di sei mesi, conteggiando anche “le frazioni di giorno”.
Sul punto, l’Agenzia delle Entrate, con l’Interpello n. 521 del 2019, ha ritenuto che le: “frazioni di giorno debbano essere conteggiate quali giorni rilevanti ai fini della determinazione del reddito imponibile in Italia, salva l'ipotesi in cui l'attività lavorativa è svolta esclusivamente all’estero.”
Ne consegue che la “frazione di giorno” trascorsa in Italia è considerata, ai fini fiscali, come un giorno intero pertanto idoneo a ridurre il numero di giorni necessario al fisco italiano per considerare la persona fisica come residente.
In questo quadro generale, si staglia il nuovo accordo bilaterale tra Italia e Svizzera (L.n. 13 giugno 2023, n. 83), avente ad oggetto i lavoratori frontalieri, volto ad aggiornare gli accordi bilaterali tra i due Paesi regolati, fino ad oggi, principalmente dall’Accordo e dalla Convenzione per evitare le doppie imposizioni sottoscritti rispettivamente nel 1974 e nel 1976.
Dal 1 gennaio del corrente anno si applica, invece, la nuova normativa che all’art. 2, lett. b) definisce il lavorare frontaliero come segue: “un residente di uno Stato contraente che:
i) è fiscalmente residente in un Comune il cui territorio si trova, totalmente o parzialmente, nella zona di 20 km dal confine con l’altro Stato contraente,
ii) svolge un’attività di lavoro dipendente nell’area di frontiera dell’altro Stato contraente per un datore di lavoro residente, una stabile organizzazione o una base fissa di detto altro Stato, e
iii) ritorna, in linea di principio, quotidianamente al proprio domicilio principale nello Stato
di residenza.”
Vengono, poi, definite le c.d. “aree frontaliere” che per l’Italia corrispondono alle Regioni Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta e dalla Provincia Autonoma di Bolzano mente per la Svizzera corrispondono ai Cantoni dei Grigioni, del Ticino e del Vallese.
In tema di imposizione fiscale, la principale novità è che ai frontalieri, dall’anno in corso, si applica la tassazione concorrente ovvero entrambi gli Stati contraenti possono applicare imposte sul reddito del frontaliero sia esso residente in Italia o in Svizzera.
Infatti, l’art. 3 del nuovo Accordo stabilisce, per i soli lavoratori frontalieri, che: “i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe ricevute dai lavoratori frontalieri e pagate da un datore di lavoro quale corrispettivo di un’attività di lavoro dipendente, sono imponibili nello Stato contraente in cui l’attività di lavoro dipendente viene svolta. Tuttavia, l’imposta così applicata non può eccedere l’80 per cento dell’imposta risultante dall’applicazione dell’imposta sui redditi delle persone fisiche applicabile nel luogo in cui l’attività di lavoro dipendente viene svolta, ivi incluse le imposte locali sui redditi delle persone fisiche. Lo Stato di residenza assoggetta a sua volta ad imposizione ed elimina la doppia imposizione.”
Ciò vuol dire che il frontaliero “italiano” che lavora in Svizzera da un lato vedrà il suo stipendio soggetto all’imposizione elvetica nella misura dell’80% del dovuto e dall’altro lato quello stesso stipendio verrà tassato in Italia che, però, per evitare la doppia imposizione, dovrà applicare le disposizioni dell’articolo 24 della Convenzione contro le doppie imposizioni del 1976.
Queste ultime prevedono un meccanismo di credito d’imposta “estero” ovvero l’Italia deve dedurre dalle imposte italiane, calcolate sui redditi di provenienza elvetica, l’imposta sui redditi pagata in Svizzera.
L’Accordo prevede inoltre due clausole di salvaguardia.
La prima prevede che “Il carico fiscale totale sul reddito da attività di lavoro dipendente dei lavoratori frontalieri residenti in Italia non può essere inferiore all’imposta che sarebbe prelevata in applicazione dell’Accordo sui lavoratori frontalieri del 1974.”. Ne consegue che il lavoratore non beneficerà di un alleggerimento nell’imposizione fiscale rispetto a quanto pagava fino all’applicazione del nuovo Accordo.
La seconda clausola prevede, invece, che “L’imposizione dei lavoratori frontalieri nello Stato contraente in cui l’attività di lavoro dipendente viene svolta è effettuata tramite imposizione alla fonte.”. Ciò appare coerente col fatto che l’Accordo si applica ai lavoratori dipendenti.
Infine, il Legislatore ha innalzato, per la terza volta in pochi anni, la c.d. “no tax area”, ovvero l’ammontare di reddito da lavoro non soggetto a tassazione.
Infatti, a decorrere dal 1 gennaio 2014, il reddito da lavoro dipendente prestato all'estero in zona di frontiera o in altri paesi limitrofi al territorio nazionale, in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto, da soggetti residenti nel territorio dello Stato italiano, concorre a formare il reddito complessivo per l'importo eccedente 10.000 euro.
In conclusione, le novità introdotte, benché sostanziali, non posso ritenersi a prescindere svantaggiose per il lavoratore frontaliero a cui è consigliato sempre di verificare, concretamente, la convenienza fiscale di risiedere in un paese e lavorare in un altro alla luce del reddito percepito ma non solo. Infatti, il c.d. “costo della vita” è sicuramente tra quei fattori che possono incidere su una scelta di questo genere; peraltro più si riduce la differenza di tale costo, ad esempio a causa dell’impennata dell’inflazione, e più la scelta si basa non tanto su aspetti economici e fiscali quanto sulla qualità dei servizi ed in generale della vita in un determinato paese piuttosto che in un altro.