Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Lecce aveva riconosciuto ad un dipendente di Enel il diritto all’inserimento nei turni di reperibilità, condannando la datrice di lavoro a risarcire i danni subiti dal lavoratore, per le mancate indennità percepite a tale titolo.
Ritenendo la decisione ingiusta, la società datrice di lavoro aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Secondo la ricorrente, infatti, sulla base di quanto stabilito dalla contrattazione collettiva, l’inclusione nel servizio di reperibilità non costituisce un “diritto soggettivo pieno in capo a tutti i dipendenti” e non è “disposta in maniera automatica in presenza di un determinato inquadramento professionale o in base all'appartenenza a una specifica unità di lavoro ( art. 2103 c.c. )”.
Secondo la datrice di lavoro, in particolare, l’inclusione nel suddetto servizio dipende dalle esigenze dell’azienda, valutate in via discrezionale dalla stessa.
La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover dar ragione alla società ricorrente, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.
Osservava la Cassazione, in proposito, che il servizio di reperibilità, così come configurato dal contratto collettivo di categoria, rappresenta un “obbligo accessorio e intermedio per il lavoratore preposto a un determinato servizio e alle connesse specifiche mansioni”.
Rilevava la Cassazione, inoltre, che tale istituto è disciplinato dal contratto collettivo, che normalmente prevede per la reperibilità “una particolare indennità di misura inferiore a quella spettante per l'eventuale effettiva e piena prestazione che possa eventualmente conseguire al rispetto dell'obbligo di reperibilità, a sua volta retribuita con il trattamento per lavoro straordinario”.
Secondo la Corte, tuttavia, non può affermarsi “che in capo al singolo lavoratore sussista un diritto a essere incluso automaticamente nei turni di reperibilità”, dal momento che la reperibilità non può essere assimilata a “nessuna forma specifica di lavoro, neanche ‘in attesa’”.
A detta della Cassazione, infatti, tale reperibilità rappresenta solamente un “obbligo accessorio alla prestazione principale ed intermedio rispetto al suo adempimento, esigibile soltanto nel caso in cui si presenti quella specifica esigenza che la turnazione è chiamata a soddisfare”.
Ciò considerato, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dalla società datrice di lavoro, annullando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte d’appello di Bari, affinché la medesima decidesse nuovamente sulla questione, sulla base dei principi sopra enunciati.