Portare un abito in lavanderia, proprio per non rischiare di rovinarlo, e portarlo a casa ugualmente danneggiato, rappresenta un incubo per ogni donna.
Cosa fare, dunque, in questi casi? Se la lavanderia rovina il nostro abito preferito, acquistato solo pochi giorni fa, abbiamo diritto a vederci risarcito il danno subito? E, in caso di risposta positiva, come può essere quantificato il danno stesso?
In proposito, va osservato che, in caso di danneggiamento dell'abito portato in tintoria, il consumatore ha certamente diritto al risarcimento del danno, a condizione che lo stesso sia stato causato dal comportamento colpevole della lavanderia: se la lavanderia, infatti, riesce a provare che il danneggiamento è dipeso da un semplice “caso fortuito” o, comunque, ad una causa non imputabile al suo comportamento negligente, il consumatore dovrà rassegnarsi e nessun risarcimento sarà allo stesso dovuto.
Se, tuttavia, dopo aver reclamato nei confronti della tintoria, ci dovessero essere delle contestazioni, si renderà necessario rivolgersi all'assicurazione della lavanderia stessa, inviando alla stessa la richiesta risarcitoria.
Nello specifico, sarà opportuno inviare una raccomandata con avviso di ricevimento in cui si narra brevemente il fatto e si dà atto del danno riscontrato sull'abito al momento del ritiro dalla lavanderia, chiedendo, pertanto, il risarcimento del relativo danno.
Ma cosa fare se la compagnia assicuratrice non ci riconosce il diritto al risarcimento?
Come ovvio, in questo caso, non resta altra via che rivolgersi al giudice, attraverso un atto di citazione avente ad oggetto la domanda di condanna al risarcimento del danno.
In quest'ultimo caso, il consumatore dovrà provare la proprietà dell'abito, esibendo il relativo scontrino d'acquisto, nonché il danno subito (ad esempio, il consumatore potrà produrre una foto che ritragga l'abito in questione rovinato), mentre sarà il titolare della lavanderia a provare che il danno non è dipeso da sua colpa.
Va osservato, infatti, che anche la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 5257 del 1984, ha precisato che, quando il consumatore si rivolge alla lavanderia, ha diritto che la stessa svolga la propria prestazione con la massima diligenza che si può pretendere da parte di un professionista di questo settore: si parla, in proposito di “diligenza professionale”.
Infatti, è ovvio che non può considerarsi accettabile che un soggetto che per lavoro si occupa di lavaggi di abiti commetta grossolani sbagli (si pensi, per esempio, ad un errore nella temperatura di lavaggio).
Tali errori possono essere considerarsi comprensibili se commessi da un soggetto non qualificato ma non certo da chi svolge la professione del tintore.
Precisa la Corte, in particolare, come la tintoria debba essere in grado di riconoscere di che fibra tessile si tratta, così come deve sapere quali trattamenti possono essere applicati ad un determinato tessuto e quali no.
Questa argomentazione della Corte di Cassazione, inoltre, ha trovato conferma anche in diverse successive pronunce di alcuni giudici di primo grado.
In particolare, il Giudice di Pace di Foggia, in una sentenza del 17.03.1999, ha chiarito come il danneggiamento di un abito lavato dalla tintoria comporta che "il titolare della lavanderia che abbia accettato di effettuare il lavaggio senza riserva alcuna, è tenuto a rifondere, a titolo di risarcimento del danno, una somma pari all'intero prezzo del capo di vestiario".
Il Giudice di Pace di Foggia, quindi, fornisce anche un criterio di quantificazione e liquidazione del danno causato dall'errata modalità di lavaggio dell'abito da parte della tintoria: secondo il giudice, infatti, se il danno viene causato ad un abito nuovo, lo stesso potrà quantificarsi in misura pari al prezzo pagato per l'acquisto, quale risultante dal relativo scontrino.
Allo scopo di vedersi riconosciuta questa somma, quindi, si rende, necessario produrre in giudizio lo scontrino consegnato al momento dell'acquisto stesso.