La notizia di questi giorni è un po' un paradosso: un'operatrice call center è stata licenziata per aver insultato una cliente al termine di una telefonata. Se ci pensate, di solito è il chiamato a spazientirsi. Succede quasi ogni giorno, a volte anche più volte al giorno: il telefono squilla, il numero è sconosciuto e allora rispondiamo. Ce ne pentiamo all'istante. Ecco un'operatrice pronta a offrirci qualsiasi cosa abbia da vendere. Di solito, la liquidiamo con un "non sono interessato", ma a qualcuno potrebbe scattare l'insulto.
Ebbene, questa volta le parti si sono invertite, ed è stata una dipendente di Covisian, una delle società che gestisce in appalto il call center di Hera, azienda multiservizi italiana, a perdere la pazienza con una cliente.
Una leggerezza da parte della donna, che le è costata il lavoro.
Ma i sindacati non ci stanno: hanno proclamato lo stato di agitazione e indetto uno sciopero per lunedì 2 ottobre.
Ma cosa è accaduto? Secondo la ricostruzione dei sindacati, che riportano quanto contenuto nella contestazione disciplinare comminata dalla Covisian, il tutto si sarebbe svolto dopo l'orario di lavoro.
In particolare, la dipendente, al termine anche dello straordinario, avrebbe rivolto una parolaccia nei confronti di una cliente, al termine di una difficile chiamata.
Successivamente, la cliente avrebbe fatto reclamo e da lì sarebbe poi scattato il
licenziamento.
Come denunciato da Slc, Fistel, Uilcom e Ugl Telecomunicazioni, affiancate da Cgil e Cisl, la lavoratrice, che peraltro si trovava fuori dall'orario di lavoro e quindi non retribuita, si è vista comminare anche la sospensione cautelare dal lavoro e dalla retribuzione, dal momento della contestazione disciplinare. Tale provvedimento è apparso ai sindacati immotivato e sproporzionato, anche considerando che si trattava della prima contestazione disciplinare in circa 8 anni di lavoro.
Riguardo agli accadimenti, il Gruppo Hera ha spiegato di aver provveduto alle verifiche in seguito al reclamo e, ritenendo grave il comportamento dell’operatrice del fornitore nei confronti della cliente, in adempimento al contratto, ha segnalato il fatto al fornitore, che ha adottato poi i provvedimenti conseguenti.
Ma adesso un po' di riferimenti giuridici.
In merito a quanto affermato dai sindacati, si è parlato di sospensione cautelare dal lavoro e alla retribuzione.
In realtà, occorre distinguere tra la
sospensione dal servizio e dalla retribuzione, che è un vero e proprio
provvedimento disciplinare, che può essere impugnato ai sensi dell'art.
7 della
legge n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori) e può avere una durata massima di
10 giorni, dalla
sospensione cautelare.
Quest'ultima è una misura di carattere provvisorio e strumentale all’accertamento dei fatti relativi alla violazione degli obblighi inerenti al rapporto da parte del lavoratore. Tale misura esaurisce i suoi effetti con l’adozione dei provvedimenti disciplinari definitivi e non è sottoposta al predetto limite di 10 giorni.
Per quanto riguarda la sospensione cautelare, la funzione di tale misura è quella di allontanare il dipendente durante il procedimento disciplinare, per il tempo necessario e nel caso i fatti siano talmente gravi da non consentire il proseguimento, anche provvisorio, del rapporto, o nel caso la presenza del lavoratore possa creare il pericolo di turbative. In questo periodo, tuttavia, il lavoratore ha, salvo che la legge o i contratti collettivi dispongano diversamente, diritto alla retribuzione.
Il procedimento disciplinare può poi concludersi o con il
licenziamento del dipendente, e in questo caso la risoluzione del rapporto retroagisce alla data della sospensione cautelare, o con l'applicazione di una diversa
sanzione disciplinare o, ancora, senza la previsione di alcuna sanzione.
Per quanto riguarda il
licenziamento, è bene ricordarsi che questo va comunicato al lavoratore in
forma scritta.
Dal momento della comunicazione, il lavoratore potrà impugnarlo, a pena di
decadenza,
entro 60 giorni con qualunque atto giudiziale o extragiudiziale che sia idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore di ricorrere in via giudiziale.
Entro il successivo termine di 180 giorni, invece, dovrà essere depositato il relativo ricorso innanzi al Tribunale.
Alle parti è inoltre data la possibilità di provare a comporre la controversia mediante un tentativo di conciliazione in sede protetta ovvero ricorrendo all'arbitrato.
Ritornando alla questione dell'operatrice di call center, non ci resta che scoprire se riuscirà a conservare il posto di lavoro, e se lo sciopero previsto per la giornata del 2 ottobre inciderà sulle valutazioni dell'azienda.