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Indennità di accompagnamento, ecco quando viene sospesa o persa, anche in caso di malattie gravi: la Cassazione

Indennità di accompagnamento, ecco quando viene sospesa o persa, anche in caso di malattie gravi: la Cassazione
I casi pratici in cui l'indennità di accompagnamento non spetta, pur in presenza di una malattia grave e dei requisiti sanitari previsti dalla legge. La guida rapida
Come spiega il sito dell'Inps, l’indennità di accompagnamento consiste in una prestazione economica versata su domanda ad hoc e sulla scorta di requisiti sanitari ben precisi. La somma spetta agli invalidi civili totali necessitanti un'assistenza continua e per i quali – a causa di malattie fisiche e/o psichiche - è stata accertata l’impossibilità di deambulare senza il supporto di un accompagnatore, oppure l’incapacità di eseguire gli atti quotidiani della vita.

Ebbene, tra le regole in materia di attribuzione di questo sostegno mensile – pari a 531,76 euro nel 2024 - ce ne sono alcune che possono apparire, in qualche modo, inaspettate e far storcere il naso a non poche persone. In alcuni casi pratici l'indennità di accompagnamento può essere, infatti, negata ai malati gravi, e questo anche se sono rispettati i requisiti sanitari per la non-autosufficienza, tra cui il riconoscimento ufficiale dell'inabilità totale e permanente (100%) da parte delle commissioni sanitarie.

Anzitutto, come indica l'Inps nel suo sito web, il pagamento dell’indennità viene sospeso in caso di ricovero a totale carico dello Stato per un periodo maggiore di 29 giorni. Attenzione, perché l'esclusione dell'accompagnamento vale anche per i ricoveri nelle RSA, a patto però che la quota di spesa a carico del paziente sia del tutto coperta da un’altra amministrazione pubblica. In altre parole, deve trattarsi di ricovero gratuito in case di riposo o istituti pubblici o convenzionati. I ricoveri a pagamento e il day hospital, dalla legge definito “attività di ospedalizzazione a ciclo diurno”, permettono - invece - di conservare l'indennità di accompagnamento.

In riferimento alle terapie salvavita - i cicli terapeutici mirati al mantenimento in vita del paziente - rilevano invece i chiarimenti offerti dalla giurisprudenza, e in particolare dalla Cassazione. I giudici di piazza Cavour hanno infatti stabilito che la semplice diagnosi di malattia oncologica o lo svolgimento di cicli di chemioterapia o radioterapia – pur essendo prova di gravi condizioni di salute - non implicano in automatico l'attribuzione del diritto all’indennità di accompagnamento. Quest'ultimo insorge, invece, nelle circostanze in cui le terapie determinano una manifesta incapacità di muoversi senza assistenza, o di svolgere gli atti quotidiani della vita. In sostanza, il diritto viene accertato caso per caso e sempre sulla scorta degli specifici requisiti sanitari fissati dalla legge e richiamati da Inps nel suo sito web.

Non solo. L'indennità di accompagnamento non spetta neanche qualora la persona sia prossima al decesso - o la morte sia prevedibile in un arco temporale assai ristretto - e stia ricevendo un'assistenza continua. Quest'ultima non deve però essere intesa come finalizzata al compimento delle azioni giornaliere (lavarsi, vestirsi, mangiare ecc.), ma a supportare direttamente ed in via emergenziale chi si trova in una fase critica dal lato sanitario. Ci si riferisce in sostanza al caso delle cc.dd. cure palliative a domicilio e dei trattamenti terapeutici a favore dei malati inguaribili e terminali.

La Suprema Corte ha spiegato inoltre che la malattia grave in sé, pur conducendo inevitabilmente alla morte, non impedisce il riconoscimento dell’indennità, in mancanza di un giudizio prognostico preciso sull’imminenza del decesso.

Concludendo, le esclusioni appena viste ribadiscono le regole di funzionamento dell’indennità di accompagnamento, le quali non sono legate alla gravità del singolo problema di salute, ma ai suoi riflessi sulla possibilità di compiere le attività quotidiane in modo indipendente e senza assistenza di familiari o altri soggetti. D'altronde tale indennità è stata espressamente prevista dal legislatore come misura di sostegno economico alla famiglia della persona non auto-sufficiente, in riferimento all'assistenza domestica, non costituendo un supporto previsto in caso di assistenza prettamente medica e terapeutica.

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