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Impedire alla propria moglie di lavorare è reato, uomo condannato per maltrattamenti: nuova sentenza di Cassazione

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Impedire alla propria moglie di lavorare è reato, uomo condannato per maltrattamenti: nuova sentenza di Cassazione
La Cassazione ha spiegato che il reato di maltrattamenti sussiste anche quando il marito ostacola la moglie nella sua volontà di lavorare e di ottenere un'emancipazione economica. I fatti e la decisione
I casi di violenze perpetrate ai danni delle donne sono frequentemente oggetto di notizie di cronaca, sui quotidiani e nei TG. Non si tratta soltanto di aggressioni fisiche, ma anche di maltrattamenti che ledono psicologicamente la vittima, impossibilitata a condurre la propria vita in modo libero e non condizionato da minacce o divieti imposti da terzi.

Con la sentenza n. 1268 del 13 gennaio scorso, la Corte di Cassazione - Sezione VI si è pronunciata su un caso di violenze familiari, commesse da un marito imprenditore che - per la volontà di controllare la consorte - le aveva di fatto impedito di trovare, e svolgere, un'occupazione compatibile con le sue ambizioni e tale da assicurarle indipendenza economica. In particolare l'uomo le imponeva il costante accudimento dei figli come attività prevalente o esclusiva della giornata, salvo poi - come emerso dai fatti di causa - utilizzare la moglie "a pieno regime come contabile nell'azienda di famiglia per un lungo periodo senza versarle lo stipendio e nemmeno gli utili".

Non solo. Quando la donna, nonostante i divieti e le imposizioni del coniuge, riuscì a trovare un'occupazione in ambito turistico, il rapporto lavorativo terminò in breve tempo a causa delle continue telefonate dell'oppressivo marito. Queste ultime erano mirate esclusivamente a farla ritornare al tetto coniugale nel più breve tempo possibile ed erano tali da rendere la donna vittima di situazioni umilianti agli occhi dei colleghi di lavoro.

La delicata vicenda si è trascinata fra il 2000 e il 2019 ed è stata raccontata nel dettaglio dalla donna, nell'ambito di una testimonianza innanzi al tribunale nel processo di primo grado. Fatti che hanno assunto contorni assai chiari agli occhi dei giudici di piazza Cavour, i quali hanno concluso con la conferma della pronuncia della corte d'appello, al termine di una complessa disputa giudiziaria.

Per l'uomo, per nulla rispettoso dei diritti e delle libertà della consorte, l'esito finale è stato quindi la condanna per il reato di maltrattamenti di cui all'art. 572 del c.p.. Si è rivelata fragile la difesa opposta dall'avvocato dell'uomo, secondo cui la moglie avrebbe scelto autonomamente di non lavorare al fine di accudire la prole a tempo pieno e di essere mantenuta dai redditi del proprio assistito.

Per legge, i maltrattamenti contro familiari o conviventi sono puniti con la reclusione e non si configurano soltanto con le aggressioni fisiche, ma anche con gesti e condotte che - di fatto - impediscono alla vittima del reato di essere economicamente emancipata. Intimidazioni, offese, controlli ossessivi, umiliazioni sono quindi anch'essi tali da integrare l'illecito di cui all'art. 572 del codice penale, tanto più che - come si legge nel testo della pronuncia della Corte - nel corso dell'iter giudiziario erano stati accertati l'installazione e l'utilizzo, da parte del marito, di una telecamera operativa sul perimetro esterno dell'abitazione. La finalità era da rintracciarsi nella maniacale registrazione degli spostamenti della donna, la cui esistenza - come detto - era stata a lungo condizionata dalla forzata attribuzione del ruolo di casalinga e dal divieto di scegliersi un'occupazione e di avere un proprio reddito da lavoro.

Anche in considerazione dei principi indicati dalla direttiva 2012/29/UE in tema di violenza di genere, ben si comprende allora perché la rigorosa e discriminatoria suddivisione dei ruoli all'interno dell'ambiente domestico - insieme alle forme di manipolazione e di pressione psicologica - siano costate all'uomo la condanna penale. Questa pronuncia della Cassazione contribuisce, così, a rafforzare una giurisprudenza tesa a proteggere la donna dai maltrattamenti domestici.

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