È stato stabilito che la gelosia non è un'alterazione della mente che costituisce follia. Si tratta, infatti, di un'anomalia che riguarda solo la sfera della personalità e del carattere del soggetto.
Il Codice Penale si occupa di tutelare, definendoli
non imputabili, quei soggetti
affetti da infermità totale sia psichica che fisica, al momento della commissione del fatto. Il legislatore reputa dunque non rimproverabili i soggetti privi di qualsiasi
capacità di intendere e di volere, essa sia totale (
art. 88 del c.p.) o parziale (
art. 89 del c.p.).
L’art.
90 c.p. stabilisce, altresì, che
gli stati emotivi e passionali non escludono né diminuiscono l’imputabilità.
Gli stati emotivi o passionali, pur potendo incidere in maniera più o meno massiccia sulla lucidità mentale di un soggetto, sono per espressa disposizione legislativa inidonei ad escludere l'imputabilità.
Affinché possano assumere rilevanza vi è bisogno di un quid pluris, rappresentato da un fattore determinante che si traduca in un vero e proprio stato patologico, sia pure momentaneo e pur senza assumere i tratti di una patologia clinicamente nominata.
Gli stati emotivi e passionali devono quindi
degenerare in un vero e proprio squilibrio mentale al fine di escludere o diminuire l'imputabilità ai sensi degli artt.
88 e
89 del c.p.
Esemplificativamente, la gelosia, classico esempio di
stato passionale non può di per sé incidere sulla imputabilità, ma se provoca disordine nelle funzioni della mente e perturbazioni in quelle della
volontà diventando un fuoco divoratore, una forza cieca dello spirito,
può costituire una forma morbosa diagnosticabile che esclude o diminuisce la capacità di intendere e di volere.
Detto questo, la domanda rimane: un attacco di gelosia può essere un fattore di discolpa per l'omicidio della moglie?
Proprio a questo quesito ha fornito recente risposta la
Corte di Cassazione con la
sentenza 8 marzo 2022, n. 28561.
Il caso concreto, giunto all’attenzione degli Ermellini, riguardava un
uomo accusato di aver ucciso la moglie nel corso del procedimento di separazione, e condannato a una pena di 30 anni.
L’omicidio si è rivelato il risultato di una
premeditazione durata mesi, concretizzatosi con la
minaccia della donna con un coltello, a cui è seguita una colluttazione e l’omicidio tramite strangolamento della donna.
Il ricorso in Cassazione presentato dal legale dell'imputato si articolava in tre motivi:
1. il mancato riconoscimento di un disturbo della personalità dell’imputato, non avendo la Corte d’Appello considerato l’uso smodato di farmaci e alcool precedenti al delitto;
2. il proposito criminoso non era effettivamente provato, risultando l’omicidio come reazione alla confessione di un tradimento da parte della vittima;
3. il mancato riconoscimento dell’attenuante prevista dall’art.
62 c.p., ossia di aver agito in stato d'ira, determinato da un
fatto ingiusto altrui, quale era la confessione del tradimento da parte della moglie.
Con la pronuncia citata la Suprema Corte ha stabilito, però, che l'imputato non era affetto da gravi malattie mentali o disturbi della personalità, ma piuttosto era caratterizzato da limitate anomalie e disarmonie caratteriali irrilevanti ai fini di un accertamento del vizio di mente ai sensi dell'articolo 90 del c.p.
Da ciò dipende quindi la premeditazione: c'è stato un lasso di tempo tra la nascita del suo intento omicida e la sua attuazione, che implica una riflessione sull'atto da compiere o è stato un atto impulsivo e incontrollato? La Corte ha risposto positivamente, trovando conferme della premeditazione nelle dichiarazioni esternate a conoscenti che sottolineavano la sua intenzione di uccidere la moglie una volta che questa avesse confessato l'infedeltà.
La Corte ha anche affrontato la richiesta di attenuazione ai sensi dell'articolo 62 del c.p., nella quale si affermava che la gelosia può essere un fattore attenuante in determinate circostanze. Secondo la difesa, la gelosia costituisce uno stato passionale di per sé incapace di diminuire o escludere la capacità, a meno che non derivi da un vero e proprio squilibrio psichico che porta le persone a commettere un omicidio in modo automatico.
Ma questa linea interpretativa non è stata condivisa dagli Ermellini che hanno concluso che lo sconvolgimento emotivo generato dalla confessione del tradimento, già accaduto in passato, è quindi assimilabile agli stati emotivi e passionali, che, ai sensi dell’art. 90 c.p. non escludono né diminuiscono la personalità.
La Suprema Corte ha, dunque, rigettato il ricorso per i motivi sopra esposti.