Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza resa dal Tribunale di Macerata, aveva dichiarato di non doversi procedere penalmente nei confronti dell’imputato, stante l’intervenuta prescrizione del reato, confermando, tuttavia, le statuizioni civili della sentenza impugnata, che aveva condannato il medesimo al risarcimento dei danni subiti dalla vittima.
Avverso tale sentenza, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, deducendo un difetto di motivazione nella sentenza impugnata, in quanto la Corte d’appello avrebbe errato nel non ritenere applicabile la causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 649 del c.p. (che esclude la punibilità del coniuge per i reati contro il patrimonio commessi in danno dell’altro coniuge).
In sostanza, dunque, secondo il ricorrente, il giudice avrebbe dovuto applicare l’art. 649 del c.p. anche al caso di specie, nonostante i due soggetti interessati non fossero legati da vincolo coniugale, bensì solo da una relazione di convivenza more uxorio.
La Corte di Cassazione, in effetti, riteneva di poter aderire alle argomentazioni svolte dal ricorrente, accogliendo il relativo ricorso; premetteva, innanzitutto, che “i reati per i quali è stata pronunziata la condanna dell'imputato risultano essersi verificati ai danni della convivente” e che “dal testo del provvedimento impugnato si desume che il giudice di appello ha omesso di valutare ai fini della decisione, la sussistenza dei presupposti che integrano l'esimente prevista dall'art. 649 del c.p. (…), che avrebbe dovuto essere valutata d'ufficio dal giudice di merito, per i reati contro il patrimonio”.
Sul punto, veniva poi richiamata una precedente sentenza resa dalla medesima Corte (Cass. sent. n. 32190 del 6 agosto 2009), con la quale era stato precisato che “non è punibile il furto commesso in danno del convivente "more uxorio", ma è punibile, a querela dell'offeso, il furto commesso in danno di persona già convivente "more uxorio"”.
In sostanza, secondo la Cassazione, occorre verificare se al momento del fatto fosse o meno in corso il rapporto di convivenza, in quanto è tale elemento a determinare l’applicabilità o meno della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 649 del c.p..
Nel caso di specie, invece, tale accertamento non era stato effettuato dalla Corte d’appello, con la conseguenza che, secondo la Cassazione, doveva essere pronunciato l’annullamento della sentenza “agli effetti civili, limitatamente ai reati di furto e danneggiamento, disponendo il rinvio al giudice civile competente”.