Nel caso esaminato dalla Cassazione, un soggetto era stato accusato di aver commesso il furto (art. 624 c.p.) di un portafoglio, trattenendo il denaro ivi contenuto.
Il Tribunale di Urbino, tuttavia, aveva riqualificato il fatto contestato, inquadrandolo nella fattispecie della “appropriazione di cose smarrite” (art. 647 c.p.) e assolvendo, comunque, l’imputato stesso.
Ritenendo la decisione ingiusta, il Procuratore della Repubblica aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza assolutoria.
Secondo il Procuratore, infatti, nel portafogli sottratto vi erano, oltre al denaro, anche i documenti personali della persona offesa, con la conseguenza che doveva affermarsi che il portafogli “conservava i segni esteriori di un legittimo possesso altrui, con conseguente sussistenza del reato di furto”.
In sostanza, a detta del Procuratore ricorrente, poiché il portafoglio presentava “i segni esteriori di un legittimo possesso altrui” (i documenti del derubato), la fattispecie in questione non poteva essere qualificata come “appropriazione di cose smarrite”, bensì come vero e proprio “furto”.
La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover dar ragione al Procuratore, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.
Osservava la Cassazione, in proposito, che, in caso di “smarrimento di cose che, come gli assegni o le carte di credito, conservino chiari ed intatti i segni esteriori di un legittimo possesso altrui, il venir meno della relazione materiale fra la cosa ed il suo titolare” non implica il venir meno, altresì, del potere di fatto del titolare sul bene smarrito, “con la conseguenza che colui che se ne appropria senza provvedere alla sua restituzione commette il reato di furto e non quello di appropriazione di cose smarrite”.
In tal senso, infatti, si era già espressa la stessa Corte di Cassazione, con le sentenze nn. 46991 del 2013 e 40327 del 2011.
Ebbene, nel caso di specie, secondo la Cassazione, la Corte d’appello aveva erroneamente riqualificato il reato di furto nella fattispecie (peraltro, depenalizzata), del reato di cui all’art. 647 c.p., in quanto la stessa non aveva tenuto in adeguata considerazione il fatto che “il portafogli smarrito, oggetto di sottrazione, conteneva, oltre ad una somma di denaro, anche i documenti personali della persona offesa (patente, carta di credito, codice fiscale), sicchè conservava i segni esteriori di un legittimo possesso altrui”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica, annullando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte d’appello, affinchè la medesima decidesse nuovamente sulla questione, sulla base dei principi sopra enunciati.