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"Furto in abitazione" anche se i fatti vengono commessi nello spogliatoio di una palestra

"Furto in abitazione" anche se i fatti vengono commessi nello spogliatoio di una palestra
Secondo la Cassazione, per luogo destinato a privata dimora deve intendersi qualsiasi luogo, non pubblico, in cui una persona si trattenga, in modo permanente oppure transitorio e contingente, per compiere atti di vita privata o attività lavorative.
La Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 18089 del 10 aprile 20174, si è occupata di un interessante caso di furto, fornendo alcune interessanti precisazioni circa questo reato.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello aveva confermato la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale aveva condannato un imputato per il reato di “furto in abitazione”, di cui all’art. 624 bis c.p.

Nello specifico, l’imputato era stato ritenuto responsabile in quanto un testimone aveva riferito di averlo visto “frugare nelle tasche degli indumenti dei ragazzi che erano in palestra, per un allenamento di basket”.

L’imputato, ritenendo la sentenza ingiusta, decideva quindi di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza di condanna.

L’imputato sosteneva, infatti, di essere “entrato nella palestra soltanto per recarsi in bagno” e che, infatti, l’agente di Polizia che si era occupato del caso aveva dichiarato di non aver verificato se dal punto in cui l’imputato diceva di essersi fermato si potesse vedere all’interno degli spogliatoi.

Secondo l’imputato, inoltre, la palestra di una scuola non poteva essere parificata ad un luogo di privata dimora, con la conseguenza che non poteva ritenersi configurata la fattispecie di cui all’art. 624 bis c.p.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle argomentazioni svolte dall’imputato, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.

Osservava la Cassazione che, nel caso in esame, la Corte d’appello aveva adeguatamente motivato la propria decisione di condanna, spiegando il percorso logico seguito.

In particolare, la Corte d’appello aveva messo correttamente in rilievo le dichiarazioni testimoniali raccolte, che dovevano considerarsi attendibili, dal momento che il testimone non aveva mai visto prima l’imputato e, quindi, non poteva avere alcun tipo di pregiudizio nei suoi confronti.

Per quanto riguarda l’osservazione secondo cui la palestra non poteva essere parificata ad un’abitazione, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 624 bis c.p., la Cassazione precisava che, nell’ottica della norma in questione, “per luogo destinato a privata dimora” deve intendersi “qualsiasi luogo, non pubblico, in cui una persona si trattenga, in modo permanente oppure transitorio e contingente, per compiere atti di vita privata o attività lavorative”.

Di conseguenza, secondo la Cassazione, la Corte d’appello aveva del tutto correttamente ritenuto integrato il reato di “furto in abitazione”, nonostante i fatti si fossero verificati in una palestra e non in una casa di abitazione.

Evidenziava la Cassazione, infatti, che “gli utenti, recandosi nei locali di una palestra, per effettuare attività sportiva, lasciano negli spogliatoi i propri abiti e i propri effetti personali”.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dall’imputato, confermando integralmente la sentenza di condanna di secondo grado e condannando il ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.


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