Si tratta di un istituto disciplinato dall’art. 167 codice civile, il quale prevede la possibilità per i coniugi, mediante atto pubblico o testamento, di individuare determinati beni (come immobili, mobili registrati o titoli di credito) al fine di destinarli, in un fondo costituito ad hoc, a far fronte ai bisogni della famiglia.
In base al successivo art. 170 c.c., poi, attraverso la costituzione del fondo patrimoniale, i coniugi avrebbero la garanzia di una sorta di impignorabilità dei suddetti beni, in quanto tali beni non potrebbero essere aggrediti dai creditori per debiti che i creditori stessi sapevano essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.
Il legislatore e la giurisprudenza, tuttavia, con alcune modifiche legislative e con alcune pronunce di notevole rilevanza, hanno, in sostanza, progressivamente “smontato” questo istituto.
Infatti, in primo luogo, con l’introduzione dell’art. 2929 bis c.c., introdotto con il decreto legge n. 83 del 2015, è stato stabilito che i beni inseriti nel fondo patrimoniale siano sempre impignorabili, anche in caso di debiti estranei ai bisogni della famiglia, a condizione, però, che il creditore provveda a trascrivere il pignoramento entro l’anno successivo alla costituzione del fondo patrimoniale da parte dei coniugi.
In secondo luogo, con l’importante pronuncia della Corte d’Appello di Lecce, n. 434 del 2016, è stato stabilito che rientrino tra i “bisogni della famiglia” anche i debiti di natura fiscale contratti nei confronti di Equitalia, nonché tutta un’altra serie di debiti (debiti nei confronti dei fornitori della propria attività lavorativa, fideiussioni prestate in favore dell’azienda di famiglia ecc…), con la conseguenza che, in sostanza, quasi tutti i debiti si possono considerare di “natura famigliare” e quasi tutti i creditori possono procedere esecutivamente anche contro i beni inseriti nel fondo patrimoniale.
Va osservato, peraltro, che la Corte d’Appello di Lecce non ha fatto altro che confermare l’orientamento che era già stato espresso sull’argomento da parte della Corte di Cassazione, la quale, con la sentenza n. 3600 del 24 febbraio 2016, aveva stabilito che “in tema di fondo patrimoniale, il criterio identificativo dei debiti per i quali può avere luogo l’esecuzione sui beni del fondo va ricercato non già nella natura dell’obbligazione, contrattuale o extracontrattuale, ma nella relazione tra il fatto generatore di essa e i bisogni della famiglia, sicché anche un debito di natura tributaria sorto per l’esercizio dell’attività imprenditoriale potrebbe ritenersi contratto per soddisfare tale finalità”.
Nello stesso senso si poneva anche la precedente sentenza n. 18248 del 26 agosto 2014, con la quale la Corte di Cassazione ha precisato che “anche il credito extracontrattuale è ammesso a soddisfacimento sui beni in fondo patrimoniale, purché sussista una relazione tra il fatto generatore (o fonte generatrice) e le esigenze familiari, intese poi queste ultime in senso relativamente ampio, quali quelle volte al pieno soddisfacimento e all’armonico sviluppo della famiglia nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, con esclusione solo delle esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi”.
Inoltre, nella medesima pronuncia, la Cassazione ha precisato, altresì, che “l’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia; e, al riguardo, bene si sostiene non solo che l’istituto integri un divieto di espropriazione avente natura di eccezione al principio generale della responsabilità patrimoniale del debitore, ma comunque che un tale divieto si basi sulla necessaria coesistenza di almeno tre presupposti della cui prova è onerato l’esecutato:
1) di un elemento formale, cioè della rituale annotazione a margine del registro di stato civile;
2) di un elemento oggettivo, cioè l’estraneità del credito ai bisogni della famiglia;
3 di un elemento soggettivo, cioè la consapevolezza del creditore di tale estraneità”.
In altri termini, anche la Corte di Cassazione ha progressivamente esteso il regime di pignorabilità dei beni facenti parte del fondo patrimoniale, estendendo sempre di più il novero dei debiti che possono essere considerati di “natura familiare”.
Infatti, alla luce dei più recenti orientamenti giurisprudenziali, restano esclusi dal regime di pignorabilità, solamente i debiti che siano stati contratti per ragioni del tutto voluttuarie o speculative (in tal senso, si veda anche la sentenza n. 23163 del 31 ottobre 2014, ove la Cassazione ha specificato che “le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti speculativi rilevano al fine di escludere la pignorabilità quando esse non ineriscano direttamente beni costituiti in fondo patrimoniale; qualora invece i debiti siano contratti per la gestione e l’amministrazione di questi stessi beni, essi debbono intendersi necessariamente riferiti ai bisogni della famiglia, anche quando inerenti, come detto, a spese a carattere voluttuario o comunque evitabili”).