La “curiosità” sta nel fatto che, nel caso di specie, i genitori non intendevano opporsi alla bocciatura del figlio, bensì contestare la votazione conseguita all’esame di Stato, che non appariva “soddisfacente”.
I genitori in questione, infatti, si erano rivolti al TAR al fine di ottenere l’annullamento del verbale “dei giudizi sulle prove dell’esame di Stato conclusivo del primo ciclo d’istruzione per l’anno scolastico 2013/2014”, nella parte in cui il loro figlio aveva avuto “la valutazione di 9/10 (ottimo), piuttosto che di 10/10 (eccellente)”.
Secondo i ricorrenti, infatti, il provvedimento in questione appariva viziato per “eccesso di potere” (art. art. 21 octies della legge sul proc. amministrativo legge n. 241/1990), sotto i profili della disparità di trattamento, del difetto d’istruttoria e del difetto di motivazione.
Il TAR, tuttavia, non aveva ritenuto di poter aderire alle considerazioni svolte dai genitori, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
Osservava il TAR, infatti, che “la scuola, nel valutare la preparazione degli alunni, non applica scienze esatte che conducono ad un risultato certo ed univoco (…), ma formula un giudizio tecnico connotato da un fisiologico margine di opinabilità, per sconfessare il quale non è sufficiente evidenziare la mera non condivisibilità del giudizio, dovendosi piuttosto dimostrare la sua palese inattendibilità”.
Ebbene, nel caso di specie, secondo il TAR, la scuola aveva del tutto adeguatamente formulato il proprio giudizio, basandosi sui risultati delle prove effettuate dallo studente in questione (tra cui quelli relativi alle lingue straniere, i cui elaborati erano risultati “per lo più” e non “totalmente” corretti).
Alla luce di tali considerazioni, il TAR Sicilia rigettava il ricorso proposto dai genitori dell’alunno, condannando i medesimi anche al pagamento delle spese processuali.