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Esecuzione forzata intrapresa in forza di sentenza della Corte dei Conti: dinanzi a quale giudice va fatta opposizione?

Esecuzione forzata intrapresa in forza di sentenza della Corte dei Conti: dinanzi a quale giudice va fatta opposizione?
Il giudizio di opposizione all'esecuzione forzata, anche se intrapresa in forza di sentenza di condanna emessa dalla Corte dei Conti all'esito di un giudizio di responsabilità contabile, spetta alla giurisdizione ordinaria (Corte di Cassazione, SS.UU., ordinanza n. 18635 del 08/07/2024)
Il caso preso in esame dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione non attiene alla riscossione coattiva di imposte e tasse, ma trae fondamento da una decisione della Corte dei Conti che, a conclusione di un giudizio di responsabilità contabile, ha condannato un privato al risarcimento dei danni e al pagamento delle somme dovute all’amministrazione, in conseguenza della sua condotta illecita o illegittima.
Il giudice contabile, si afferma, ha esaurito il suo compito nel momento in cui ha accertato, con sentenza passata in giudicato, i presupposti per la sussistenza della responsabilità e del debito, generando un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile.
Da ciò deve conseguire, come statuito dalla Suprema Corte, che “non si può profilare altro giudice competente sulla materia e che quando sia posta in esecuzione una sentenza di condanna della P.A., ancorché pronunciata da un giudice speciale, viene introdotta una controversia avente per oggetto un diritto soggettivo, rimessa alla competenza del giudice ordinario” (cfr. SS.UU. n. 7578 del 31/03/2006; SS.UU. n. 19280 del 19/07/2018).

Per quanto concerne la legittimazione ad attivare la procedura per il recupero dei crediti, derivanti dalle sentenze di condanna del giudice contabile, la stessa va riconosciuta in capo all’Amministrazione danneggiata, essendo questa, nella sua qualità di beneficiaria della sentenza, il soggetto titolare del credito.
Quanto appena asserito trova, adesso, fondamento nel D.Lgs. 26 agosto 2016, n. 174 (Codice della giustizia contabile), il cui art. 214 precisa che l’azione di recupero è avviata dall’amministrazione titolare del credito (o quella cui compete il maggior credito) e che “la riscossione del credito erariale è effettuata: a) mediante recupero in via amministrativa; b) mediante esecuzione forzata di cui al Libro III del codice di procedura civile; c) mediante iscrizione a ruolo ai sensi della normativa concernente rispettivamente, la riscossione dei crediti dello Stato e degli enti locali e territoriali”.

Si ricorda che la responsabilità contabile, a cui fa riferimento la sentenza in esame, va distinta da quella amministrativa.
In estrema sintesi può dirsi che quest’ultima è una responsabilità di natura patrimoniale, nella quale incorrono gli amministratori e i dipendenti degli enti pubblici che, a seguito di inosservanza degli obblighi di servizio, abbiano arrecato un danno alla pubblica amministrazione.
Si distingue, a sua volta, tra:
  1. responsabilità amministrativa “indiretta”, la quale ricorre allorché il pregiudizio, arrecato all’amministrazione, derivi dall’obbligo di risarcire il danno cagionato a terzi dall’azione del dipendente o dal soggetto legato all’amministrazione da un rapporto di servizio (in questo caso l’amministrazione sarà tenuta ad agire in rivalsa);
  2. responsabilità amministrativa “diretta”, così definita in quanto il pregiudizio arrecato all’amministrazione produce un onere o un depauperamento immediatamente e direttamente discendente dalla condotta dell’agente.

Ricorre, invece, la responsabilità contabile con riferimento a quei soggetti che, avendo avuto in consegna, a vario titolo, denaro, beni o altri valori pubblici, non adempiano all’obbligo di restituzione che su di loro incombe.

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