Con la pronunzia n. 4364 del 9 novembre 2022 ((depositata in data 2 febbraio 2023), la terza sezione penale della Corte di cassazione si è pronunciata sulla condotta di violenza sessuale attuata avverso persona offesa in momentaneo o permanente stato di inferiorità psichica o fisica, ex art. 609 bis del c.p., comma 2, n. 1.
Il Supremo Consesso, sulla scia del pregresso e prevalente filone della giurisprudenza di legittimità (Cass. pen., sez. III, 14 aprile 2010, n. 2076), ha confermato l’assunto per cui sussistono le condizioni di inferiorità psichica o fisica nel delitto di violenza sessuale qualora il soggetto agente sfrutti, al fine di pervenire al rapporto sessuale con la vittima, le condizioni di debolezza del soggetto passivo, abusando delle sue condizioni di minorità fisica o psichica (si pensi, ad esempio, ad un soggetto interdetto; ovvero, ad una persona disabile, la quale non riesce a dissentire alla condotta illecita).
Il delitto ex se è perfezionato qualora l’agente, attraverso un comportamento attivo, di persuasione sottile e subdola, induce la vittima a sottostare ad atti sessuali, sebbene in assenza di consenso espresso: la vittima in minorato stato di capacità di agire, difatti, contrariamente non avrebbe prestato idoneo consenso all’attività sessuale.
Ex lege, il delitto di violenza sessuale può perfezionarsi secondo due diverse modalità: per costrizione (“Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni”), comma 1; ovvero, per induzione (“Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali: 1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto; 2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra”) (comma 2). In ambo i casi, il codice penale prevede il medesimo trattamento sanzionatorio.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, è necessario che l’autore della violenza sessuale abbia il dolo generico di porre in essere l’atto sessuale non consenziente: in particolare, occorre che la condotta sia attuata con pieno atteggiamento di consapevolezza della condizione di inferiorità della vittima, ovvero attraverso un’azione consistente nell’induzione ed abuso. Secondo la dottrina prevalente, difatti, il reato di violenza sessuale di cui al comma 2 dell’articolo 609 bis del codice penale è da qualificarsi come delitto a forma vincolata. In particolare, si legge che: “Ai fini dell'integrazione dell'elemento soggettivo del reato di violenza sessuale non è necessario che la condotta sia specificamente finalizzata al soddisfacimento del piacere sessuale dell'agente, essendo sufficiente che questi sia consapevole della natura oggettivamente "sessuale" dell'atto posto in essere volontariamente, ossia della sua idoneità a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, a prescindere dallo scopo perseguito” (Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 3648 del 25 gennaio 2018).
Quanto, invece, al soggetto passivo, fondamentale è il suo stato di soggezione circa l’abuso ovvero l’induzione subita. In particolare: “In tema di violenza sessuale, ai fini della configurabilità dell'abuso delle condizioni di inferiorità psico-fisica della persona offesa al momento del fatto, di cui all'art. 609-bis, comma secondo, n. 1, cod. pen., non è necessario che la vittima sia minacciata al fine di compiere o subire atti sessuali, essendo la minaccia richiamata dalla norma esclusivamente nell'ipotesi del comma primo”. (Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 16348 del 12 gennaio 2021).
Nella pronunzia in esame, la Corte di Cassazione ha confermato la condanna del soggetto agente stante la prova, certa ed inconfutabile, dello stato confusionale nel quale versava la vittima al momento della violenza, nonché la presenza di una patologia psichica seria e medicalmente comprovata (nel caso di specie, la giovane donna era da poco stata dimessa dal reparto di psichiatria: era, dunque, in uno stato di acuta confusione mentale, nonché privata della comune e generale capacità di interagire, in maniera sana, con terzi soggetti).
In altri termini, la donna abusata non era pienamente cosciente e consapevole dell’attività sessuale che stava ponendo in essere con terzi sconosciuti: da tale assunto, la Corte ha rinvenuto un diretto abuso delle capacità psicofisiche della vittima.
Il Supremo Consesso, sulla scia del pregresso e prevalente filone della giurisprudenza di legittimità (Cass. pen., sez. III, 14 aprile 2010, n. 2076), ha confermato l’assunto per cui sussistono le condizioni di inferiorità psichica o fisica nel delitto di violenza sessuale qualora il soggetto agente sfrutti, al fine di pervenire al rapporto sessuale con la vittima, le condizioni di debolezza del soggetto passivo, abusando delle sue condizioni di minorità fisica o psichica (si pensi, ad esempio, ad un soggetto interdetto; ovvero, ad una persona disabile, la quale non riesce a dissentire alla condotta illecita).
Il delitto ex se è perfezionato qualora l’agente, attraverso un comportamento attivo, di persuasione sottile e subdola, induce la vittima a sottostare ad atti sessuali, sebbene in assenza di consenso espresso: la vittima in minorato stato di capacità di agire, difatti, contrariamente non avrebbe prestato idoneo consenso all’attività sessuale.
Ex lege, il delitto di violenza sessuale può perfezionarsi secondo due diverse modalità: per costrizione (“Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni”), comma 1; ovvero, per induzione (“Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali: 1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto; 2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra”) (comma 2). In ambo i casi, il codice penale prevede il medesimo trattamento sanzionatorio.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, è necessario che l’autore della violenza sessuale abbia il dolo generico di porre in essere l’atto sessuale non consenziente: in particolare, occorre che la condotta sia attuata con pieno atteggiamento di consapevolezza della condizione di inferiorità della vittima, ovvero attraverso un’azione consistente nell’induzione ed abuso. Secondo la dottrina prevalente, difatti, il reato di violenza sessuale di cui al comma 2 dell’articolo 609 bis del codice penale è da qualificarsi come delitto a forma vincolata. In particolare, si legge che: “Ai fini dell'integrazione dell'elemento soggettivo del reato di violenza sessuale non è necessario che la condotta sia specificamente finalizzata al soddisfacimento del piacere sessuale dell'agente, essendo sufficiente che questi sia consapevole della natura oggettivamente "sessuale" dell'atto posto in essere volontariamente, ossia della sua idoneità a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, a prescindere dallo scopo perseguito” (Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 3648 del 25 gennaio 2018).
Quanto, invece, al soggetto passivo, fondamentale è il suo stato di soggezione circa l’abuso ovvero l’induzione subita. In particolare: “In tema di violenza sessuale, ai fini della configurabilità dell'abuso delle condizioni di inferiorità psico-fisica della persona offesa al momento del fatto, di cui all'art. 609-bis, comma secondo, n. 1, cod. pen., non è necessario che la vittima sia minacciata al fine di compiere o subire atti sessuali, essendo la minaccia richiamata dalla norma esclusivamente nell'ipotesi del comma primo”. (Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 16348 del 12 gennaio 2021).
Nella pronunzia in esame, la Corte di Cassazione ha confermato la condanna del soggetto agente stante la prova, certa ed inconfutabile, dello stato confusionale nel quale versava la vittima al momento della violenza, nonché la presenza di una patologia psichica seria e medicalmente comprovata (nel caso di specie, la giovane donna era da poco stata dimessa dal reparto di psichiatria: era, dunque, in uno stato di acuta confusione mentale, nonché privata della comune e generale capacità di interagire, in maniera sana, con terzi soggetti).
In altri termini, la donna abusata non era pienamente cosciente e consapevole dell’attività sessuale che stava ponendo in essere con terzi sconosciuti: da tale assunto, la Corte ha rinvenuto un diretto abuso delle capacità psicofisiche della vittima.