Con l’introduzione della Legge n. 105/2024, che converte il Decreto Legge n. 69/2024 (meglio conosciuto come il “Decreto Salva Casa”), il quadro normativo in materia edilizia è cambiato in modo significativo.
Le modifiche introdotte si sono concentrate in particolare su due aspetti: le
procedure di sanatoria e il
cambio di destinazione d'uso, al fine di rispondere alle nuove esigenze del territorio. Ma - nonostante queste novità - la situazione resta complicata, con molti nodi ancora da sciogliere.
La giustizia amministrativa sta infatti trattando casi che risalgono a prima di queste modifiche mentre, in futuro, in base ai nuovi orientamenti legislativi, potrebbero esserci delle sostanziali modifiche nelle sentenze.
Un esempio interessante arriva da una recente
sentenza del Consiglio di Stato (11 dicembre 2024, n. 10000), che ha preso in esame un
caso di abusi edilizi, andando a chiarire alcuni aspetti rilevanti del Testo Unico Edilizia, in particolare per quanto riguarda la
sanatoria e la demolizione. Questa decisione è di grande importanza, perché stabilisce dei
limiti precisi su come è possibile regolarizzare le opere abusive e quali sono i criteri da seguire per tutelare il territorio.
Gli abusi contestati e la richiesta di sanatoria
Nel caso in questione, l’appellante ha cercato di annullare la
decisione del T.A.R., che aveva rigettato la richiesta di sanatoria e l’istanza di accertamento di conformità prevista dall’
art. 36 del T.U. edilizia. Il ricorso si riferiva a delle
violazioni legate a lavori realizzati in un immobile e
che, secondo l'amministrazione, erano abusivi. La richiesta di sanatoria riguardava tre aspetti principali: un
cambio di destinazione d’uso, la
realizzazione di nuovi volumi e la
violazione di vincoli paesaggistici.
In particolare, la questione riguardava la trasformazione di un locale cantina, che inizialmente era destinato a deposito, in un vero e proprio spazio residenziale, dotato di impianti domestici e arredamenti. Inoltre, erano stati costruiti un box auto e un deposito su aree comuni del condominio, ma senza rispettare le concessioni edilizie originali. A complicare ulteriormente la situazione, queste opere erano state realizzate in una zona vincolata paesaggisticamente, un aspetto che ha reso più difficile l’eventuale regolarizzazione.
L’appellante ha cercato di difendersi sostenendo che i proprietari attuali non avevano realizzato gli abusi, e che non c’era alcun
interesse pubblico tale da giustificare la demolizione. Ha anche contestato la motivazione del giudizio di
primo grado, ritenendo che il T.A.R. avesse preso in considerazione parametri giuridici errati, senza considerare la
doppia conformità urbanistica richiesta per la sanatoria. Infine, ha sostenuto che il T.A.R. aveva sostituito indebitamente le valutazioni del
Comune, classificando le opere come “
variazioni essenziali”, con conseguenti sanzioni più gravi rispetto a quelle che sarebbero scattate per una semplice ristrutturazione.
La sentenza del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato, tuttavia, ha rigettato il ricorso, confermando la decisione del T.A.R. e chiarendo alcuni punti fondamentali. La sua sentenza si basa su tre concetti principali: l’obbligo di ripristinare la legalità urbanistica, la conformità urbanistica e i vincoli paesaggistici.
Innanzitutto, il Consiglio di Stato ha ribadito che
le ordinanze di demolizione sono vincolanti e devono essere eseguite da chiunque si trovi nella posizione di
rimuovere l’abuso, indipendentemente dal fatto che sia stato il proprietario a realizzare l’opera. In altre parole, la responsabilità per la demolizione
ricade sul proprietario attuale dell’immobile, anche se l’
abuso è stato commesso da un precedente proprietario.
In secondo luogo, la Corte ha sottolineato che non basta dichiarare che un'opera abusiva possa essere sanata. L’onere di provare che l’opera rispetti le normative urbanistiche spetta al proprietario, che deve dimostrare che l’opera era conforme sia al momento della sua realizzazione che al momento della presentazione della domanda di sanatoria. Nel caso specifico, la trasformazione del locale cantina in uno spazio residenziale non ha rispettato le regole urbanistiche e, quindi, non è stata possibile la sanatoria.
Infine, il Consiglio di Stato ha messo in evidenza che le opere abusive, situate in una
zona vincolata paesaggisticamente, non possono essere sanate se vanno a contraddire le norme di tutela del
territorio. In questo caso, le modifiche apportate all’immobile erano in contrasto con le normative di salvaguardia del
paesaggio e non potevano essere regolarizzate.
La natura dell'ordine di demolizione
Una delle questioni principali affrontate dalla sentenza riguarda la natura dell'ordine di demolizione. Secondo il Consiglio di Stato, le ordinanze di demolizione non sono legate al tempo in cui l’abuso è stato commesso, né dipendono dal fatto che l’attuale proprietario sia o meno responsabile della realizzazione dell’opera. L’ordine di demolizione è considerato un atto vincolato e deve essere eseguito senza che sia necessario fornire una motivazione aggiuntiva, se non quella di ripristinare la legalità violata.
Questo principio è stato ribadito anche in un precedente orientamento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sentenza n. 9/2017), il quale ha affermato che, anche se l’ingiunzione di demolizione arriva dopo molto tempo e il proprietario attuale non è il responsabile dell’abuso, l’intervento è comunque dovuto.
Sanatoria e cambio di destinazione d’uso
Un altro punto importante trattato dalla sentenza riguarda la sanatoria per il cambio di destinazione d’uso. Secondo la legge, il proprietario - che chiede la sanatoria di un’opera abusiva - deve dimostrare che l’opera è conforme alle normative urbanistiche sia al momento della realizzazione che al momento della domanda di sanatoria.
Nel caso in esame, la trasformazione di un locale cantina in uno spazio abitativo ha aumentato la volumetria e modificato gli spazi in modo tale da risultare incompatibile con il piano urbanistico della zona, che non permette l’ampliamento della superficie abitativa. Di conseguenza, la domanda di sanatoria è stata respinta, in quanto il cambiamento di destinazione d'uso è stato considerato "urbanisticamente rilevante" e non ammissibile.
I limiti della sanatoria
In definitiva, la sentenza del Consiglio di Stato ha ribadito che non tutte le opere abusive possono essere sanate, soprattutto quando comportano un cambiamento significativo nella destinazione d’uso o violano norme di tutela ambientale e paesaggistica.
Questo orientamento contribuirà sicuramente a definire la linea guida per i casi futuri, in particolare quelli che seguiranno le nuove normative del Decreto Salva Casa, ma rimane chiaro che la normativa urbanistica e la tutela del territorio sono prioritarie.