Nel caso esaminato dalla Cassazione, il Tribunale di Ascoli Piceno aveva condannato Poste Italiane S.p.A. al risarcimento dei danni non patrimoniali (per “lesione della dignità personale”) subiti da un proprio dipendente, il cui superiore “aveva volutamente cercato di impedire (e, così, aveva ritardato) la chiamata d'una ambulanza”, quando questi era stato colto da un infarto.
La responsabilità delle Poste era stata confermata dalla Corte d’appello di Ancona, la quale, anzi, aveva riconosciuto al lavoratore, altresì, il diritto al risarcimento del danno biologico.
Ritenendo la decisione ingiusta, Poste Italiane decideva di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Evidenziava la ricorrente, in particolare, che la Corte d’appello aveva riconosciuto il diritto al risarcimento del danno biologico nonostante “la mancanza di prova del nesso di causalità fra il ritardo del soccorso (addebitato alla società) e l'entità del danno cardiaco riportato dal lavoratore”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione alle Poste, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
Osservava la Cassazione, infatti, che, dagli accertamenti effettuati in corso di causa, era emerso che il grado di danno biologico “conseguente al ritardo delle terapie dovute all'infartuato è stato pari al 50%” .
Evidenziava la Cassazione, peraltro, che vi era stato ritardo “sia nel chiamare l'ambulanza” dall'ufficio in cui lavorava il dipendente (ritardo ascrivibile al suo superiore, che si era fisicamente opposto a che venisse chiamato il Pronto Soccorso), sia, successivamente, da parte della struttura sanitaria.
Rilevava la Cassazione, inoltre, che la Corte d’appello aveva, del tutto adeguatamente, rilevato che, “una volta provato che il ritardo (in parte ascrivibile ad un dipendente della società (…), in parte addebitabile alla struttura sanitaria) ha concorso causalmente a determinare il danno ingiusto, al relativo risarcimento sono tenuti in solido ex art. 2055 c.c. , tutti i soggetti responsabili (vale a dire la società ricorrente e la struttura sanitaria)”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto da Poste Italiane, confermando integralmente la sentenza impugnata e condannando la ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.