Il caso esaminato dalla Corte trae le mosse da un giudizio promosso da un lavoratore dipendente, licenziato a seguito delle risultanze dei controlli eseguiti dal datore di lavoro con l’ausilio di una agenzia investigativa privata (attraverso appostamenti e foto, i cui esiti confluivano in una relazione investigativa), con lo scopo di verificare il corretto adempimento delle prestazioni lavorative a cui lo stesso era tenuto.
Ebbene, nonostante il lavoratore avesse perso i primi due gradi di giudizio, la Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso da quest’ultimo presentato (ritenendo, dunque, illegittimo il licenziamento), ancorando la propria decisione alla giurisprudenza di legittimità formatasi in tema di interpretazione degli artt. 2 e 3 dello Statuto dei Lavoratori (L. 300/1970).
In particolare, l’art. 3 della L. 300/1970, secondo cui “i nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell'attività lavorativa debbono essere comunicati ai lavoratori interessati”, determina il potere dell’imprenditore di controllare sia direttamente, sia mediante l’organizzazione gerarchica che a lui fa capo (che è conosciuta dai dipendenti), l’adempimento delle prestazioni cui è tenuto il lavoratore.
Ciò può avvenire anche occultamente, purché – appunto – tale controllo sia eseguito da soggetti “noti” al lavoratore, perché parte della stessa organizzazione.
In tutte le altre ipotesi – specifica la Cassazione – “il controllo di terzi, sia quello di guardie particolari giurate così come di addetti di un'agenzia investigativa, non può riguardare, in nessun caso, né l'adempimento, né l'inadempimento dell'obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera, essendo l'inadempimento stesso riconducibile, come l'adempimento, all'attività lavorativa, che è sottratta alla suddetta vigilanza”, con la conseguenza che “il controllo delle agenzie investigative "deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducigli al mero inadempimento dell'obbligazione contrattuale".
Cosa vuol dire questo?
In poche parole, il datore di lavoro può controllare direttamente (o far controllare, anche attraverso altri soggetti) il dipendente per verificare il corretto svolgimento (ossia il corretto adempimento) dell’attività lavorativa, ma ad una condizione: il dipendente deve essere a conoscenza dei nominativi di coloro i quali possono effettuare tale tipo di controllo.
È comunque possibile ritenere legittimo il controllo tramite investigatori che non abbia ad oggetto l'adempimento della prestazione lavorativa, ma solo se esso "sia finalizzato a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente, come proprio nel caso di controllo finalizzato all'accertamento dell'utilizzo improprio, da parte di un dipendente, dei permessi ex art. 33 legge n. 104 del 1992" (così Cass. cit.).