In particolare, se la telecamera è installata per motivi di sicurezza e non è nemmeno accertato il suo funzionamento, il lavoratore ha ugualmente diritto a far valere le proprie ragioni?
Stando a quanto affermato dalla Corte di Cassazione, nella sentenza sopra citata, sembrerebbe proprio di si.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, i due amministratori di un night club erano stati condannati, in primo grado, per il reato di cui agli artt. 4, comma 2 e 3, e 38 della legge n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori) e di cui all’art. 114 el d. lgs. n. 196/2003 (Codice della privacy), per avere “installato e posto in funzione nei locali di tale club impianti ed apparecchiature audiovisive dalle quali era possibile controllare a distanza l’attività dei lavoratori dipendenti, in assenza di accordo con le rappresentanze sindacali e con la commissione interna e senza osservare le modalità indicate dalla locale Direzione Territoriale del lavoro”.
Il seguente giudizio di appello veniva convertito in giudizio di Cassazione, nel quale i ricorrenti lamentavano “l’errata interpretazione delle deposizioni testimoniali da parte del Tribunale, avendo uno solo dei testi escussi riferito della presenza di una sola telecamera, di cui non era neppure stata accertata la funzionalità, ed avendo l’unica telecamera esistente funzione difensiva, essendo prossima alla cassa e volta quindi a prevenire ed accertare comportamenti illeciti dei dipendenti, e non anche a raccogliere notizia sulla attività lavorativa dei dipendenti stessi”.
La Corte di Cassazione non riteneva di dover aderire alle argomentazioni svolte dai ricorrenti, rigettando il relativo ricorso.
Evidenziava la Cassazione, in proposito, che l’art. 4 dello Statuto dei lavoratori “vieta espressamente l’uso di impianti audiovisivi e di altri strumenti che consentano il controllo a distanza dei lavoratori”, permettendone l’installazione solo previo accordo con le rappresentanze sindacali o permesso dell’Ispettorato del lavoro.
Tale fattispecie di reato, osserva la Corte, è volta a “salvaguardare le possibili lesioni della riservatezza dei lavoratori, con la conseguenza che per la sua integrazione è sufficiente la mera predisposizione di apparecchiature idonee a controllare a distanza l’attività dei lavoratori”, indipendentemente dalla loro concreta funzionalità.
Di conseguenza, nessuna rilevanza aveva l’eccezione dei ricorrenti relativa al numero di telecamere installate e al fatto che non era nemmeno stato accertato che la telecamera fosse funzionante.
In sostanza, dunque, la Corte di Cassazione riteneva che il Tribunale avesse del tutto correttamente motivato la propria decisione, riscontrando la violazione della normativa citata.
Alla luce di tali considerazioni, la Cassazione rigettava il ricorso proposto dai ricorrenti, condannando i medesimi al pagamento delle spese di giudizio.