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Conto corrente, il Fisco puņ spiare il tuo conto anche senza autorizzazione, ma tu puoi difenderti: ecco cosa puoi fare

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Conto corrente, il Fisco puņ spiare il tuo conto anche senza autorizzazione, ma tu puoi difenderti: ecco cosa puoi fare
Controlli sul conto corrente, l'Agenzia delle Entrate può farli anche senza autorizzazione, ma tu puoi difenderti. Vediamo insieme come
L’Agenzia delle Entrate ha il potere di effettuare controlli sui conti correnti dei contribuenti al fine di verificare la correttezza della dichiarazione dei redditi e l’adempimento degli obblighi fiscali.
Ogni anno, le banche e gli uffici postali sono obbligati a fornire al fisco tutte le informazioni relative ai conti correnti dei contribuenti, come previsto dall'art. 32 delle disp. accert. imp. redditi, che conferisce all'Agenzia delle Entrate poteri di accesso ai dati bancari.

Si tratta di un potere che non richiede un’autorizzazione specifica da parte dell’autorità giudiziaria e che viene esercitato tramite accesso al Registro dei Rapporti Finanziari il quale, a sua volta, è una sottosezione dell’Anagrafe tributaria. Tale database viene alimentato annualmente dalle stesse banche e dagli uffici postali, che sono tenuti per legge a comunicare al fisco la totalità dei rapporti in essere con i contribuenti.

L'analisi dei movimenti può riguardare fino a 5 anni di attività per chi ha presentato la dichiarazione dei redditi, ma non ha incluso determinate voci. Per chi, invece, non ha fatto la dichiarazione, il periodo di controllo può estendersi fino a 7 anni. La scadenza di questi termini è calcolata a partire dal 1° gennaio dell'anno successivo alla presentazione della dichiarazione o alla scadenza del termine per farla.
Un altro strumento che il Fisco utilizza per i controlli è l'anonimometro, un algoritmo che consente di analizzare i dati dei conti senza compromettere la privacy dei contribuenti. Se vengono rilevate anomalie, si attivano controlli più approfonditi.

Ma, nel dettaglio, cosa può controllare l'Agenzia delle Entrate?
L'Agenzia delle Entrate ha accesso a diverse informazioni sui conti bancari, tra cui:
  • saldo del conto;
  • movimenti bancari (bonifici, accrediti, addebiti);
  • investimenti (titoli, fondi comuni);
  • esistenza di cassette di sicurezza (senza entrare nel merito del contenuto);
  • assegni;
  • carte di credito e di debito;
  • carte prepagate (anche senza IBAN, come le Postepay).

Queste informazioni sono accessibili grazie alle disposizioni previste dall'art. 51 del T.U. IVA, che conferisce all'Agenzia delle Entrate il diritto di indagare su qualsiasi rapporto finanziario in essere con un contribuente.
L'Anagrafe Tributaria - si sottolinea - contiene solo informazioni relative a conti bancari in Italia, ma questo non significa che l'Agenzia delle Entrate non possa monitorare anche i conti all'estero. Per farlo, si avvale di convenzioni internazionali che obbligano le autorità fiscali a collaborare tra loro. Questi controlli, però, sono più complessi rispetto a quelli sui conti italiani. L'Italia ha aderito a numerosi accordi internazionali, come il Common Reporting Standard (CRS), che permette lo scambio di informazioni bancarie tra Paesi.

Cosa accade se vengono rilevate anomalie?

L’accertamento fiscale può essere avviato quando l'Agenzia delle Entrate rileva uno scostamento tra il reddito dichiarato dal contribuente e le spese sostenute. Per fare ciò, l'Agenzia utilizza strumenti come il redditometro - recentemente rivisitato dal D. Lgs. 108/2024 - il quale può portare a controlli per chi ha effettuato acquisti di beni o servizi che sembrano incompatibili con il reddito dichiarato. Il contribuente, però, ha la possibilità di difendersi legalmente, dimostrando che non esistono redditi non dichiarati o che l'ammontare di questi è inferiore rispetto a quanto ipotizzato.

Il redditometro è stato sostituito da uno strumento simile - chiamato "evasometro” - che serve a individuare i contribuenti con un alto rischio di evasione fiscale, facendo leva su presunzioni induttive tramite l’accertamento sintetico. Cosa significa?

Vuol dire che, da elementi noti, indicatori della capacità di spesa di un individuo, si risale all’esistenza di un reddito non dichiarato o di un reddito maggiore di quello dichiarato.
Lo scopo è individuare le posizioni con il più alto rischio di evasione.
A seguito di questo controllo, se gli elementi indicativi della capacità contributiva sono ritenuti come rappresentativi di un reddito superiore a quello dichiarato, l’Agenzia delle Entrate potrebbe muovere una contestazione e inviare un avviso di accertamento.
L'evasometro utilizza lo stesso principio del redditometro, ma con una novità importante: cioè la soglia di scostamento prevista affinché scattino i controlli da parte del Fisco.
In realtà parliamo di una doppia soglia, che il contribuente dovrà superare prima che il Fisco possa agire effettuando i dovuti accertamenti.
La prima soglia è uno scostamento del 20% tra il reddito ricostruito e quello dichiarato dal contribuente.
La seconda soglia consiste in uno scostamento pari a 10 volte l’importo dell’assegno sociale annuo. Tale assegno ha un importo di circa 7mila euro, quindi lo scarto deve essere di almeno 70mila euro affinché scattino gli accertamenti.

L’accertamento non è immediato. Infatti il Fisco effettuerà prima una valutazione del rischio di evasione, per individuare le categorie di soggetti che potrebbero essere oggetto di controlli. Inoltre gli strumenti utilizzati saranno implementati attraverso l’uso dell’intelligenza artificiale, così da ridurre la percentuale di errore nei controlli.

Più nel dettaglio, quando scatta un accertamento fiscale, l'Agenzia delle Entrate invia al contribuente un questionario, per chiarire l'origine delle disponibilità economiche che gli hanno permesso di sostenere determinate spese; il contribuente può difendersi utilizzando la cosiddetta "prova contraria". Ma prova contraria di che cosa?

In via generale, il contribuente dovrà dare la prova che il presunto reddito non esiste o esiste in misura inferiore rispetto a quanto presuntivamente accertato. In concreto, ad esempio, il contribuente potrebbe dimostrare che i pagamenti effettuati sono stati eseguiti da terze persone o derivano da una donazione. Ancora, il contribuente può dimostrare l’impiego, per l’acquisto, dei risparmi accumulati durante gli anni passati e non in quello che è stato preso in considerazione nell’accertamento fiscale da parte dell’Agenzia.
Se si tratta di un reddito esente da tassazione, come un risarcimento danni o una prestazione di invalidità, anche queste circostanze vanno documentate.
Inoltre, è possibile che il reddito non dichiarato derivi da fonti che non sono soggette a imposizione fiscale, come le vincite da giochi o eredità, o da transazioni come la vendita di altri beni.

Questa è la strada da percorrere, ma bisogna fare attenzione: è il contribuente che deve dare la prova contraria e questa prova deve essere supportata da una sufficiente documentazione.
Sul punto - si rammenta - la Corte di Cassazione ha, in ripetute occasioni, ribadito che il contribuente deve dimostrare, per ogni singolo versamento bancario, che le somme non derivano da operazioni imponibili, sottolineando che la prova fornita non può essere generica, ma deve essere analitica e dettagliata (Cass. n. 17413/2022, n. 24367/2021). I giudici, inoltre, hanno anche riconosciuto la possibilità di difendersi attraverso presunzioni semplici, a condizione, tuttavia, che gli elementi forniti siano gravi, precisi e concordanti (Cass. n. 17413/2022).
Se il contribuente non riesce a fornire una spiegazione soddisfacente, l’Agenzia delle Entrate considera le spese non giustificate come redditi non dichiarati, emettendo un avviso di accertamento. Questo avviso include non solo il pagamento delle imposte dovute, ma anche le relative sanzioni per evasione fiscale.

La notifica dell’avviso di accertamento, in questo contesto, è un passaggio cruciale. Se l'Agenzia delle Entrate non invia tale avviso entro i termini stabiliti, il contribuente non sarà più sottoposto a verifica per quel periodo d'imposta.

Ma qual è la corretta modalità di prova per il perfezionamento della notifica di un atto impositivo tramite servizio postale? Se l’atto non viene consegnato al destinatario per rifiuto a riceverlo, per sua temporanea assenza o per l’assenza di altre persone idonee a riceverlo, come si può dimostrare che il procedimento notificatorio si è effettivamente perfezionato?
Secondo l’orientamento assunto dalla giurisprudenza di legittimità, che è stato suggellato nella sentenza delle Sezioni Unite n. 10012//2021 e ribadito, successivamente, con l’ordinanza 26957/2024, “in tema di notifica di un atto impositivo tramite servizio postale, qualora l'atto notificando non venga consegnato al destinatario per rifiuto a riceverlo ovvero per sua temporanea assenza ovvero per assenza o inidoneità di altre persone a riceverlo, la prova del perfezionamento del procedimento notificatorio può essere data dal notificante - in base ad un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 8 della L n. 890 del 1982 - esclusivamente attraverso la produzione in giudizio dell'avviso di ricevimento della raccomandata contenente la comunicazione di avvenuto deposito, non essendo a tal fine sufficiente la prova dell'avvenuta spedizione della suddetta raccomandata informativa”.

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