Nel dettaglio, secondo la decisione degli Ermellini, in omaggio al principio di tassatività implicitamente desumibile ex art. 25 Cost. il sintagma di privata dimora scolpito dall’art. 624 bis è suscettibile di ricomprendere al suo interno esclusivamente tutti quei luoghi nei quali si svolgono atti della vita privata in maniera non occasionale ovvero non aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso di chi possiede lo ius escludendi alios. Tale lettura pro reo, ormai granitica all’interno della IV Sezione della Cassazione, comporta l’esclusione dai suddetti “luoghi” di alcune ipotesi come le postazioni lavorative ovvero spazi in cui la vita umana si estrinseca in maniera meramente occasionale e non continuativa, mentre affascia tutti quelli che, in modo apprezzabile sotto il profilo cronologico, sono “dediti allo svolgimento di atti della vita privata, non limitati questi ultimi soltanto a quelli della vita familiare e intima (propri dell'abitazione) nonché i luoghi che, ancorché non destinati allo svolgimento della vita familiare o domestica, abbiano, comunque, le caratteristiche dell'abitazione.
Entrando in media res, ai fini di ottemperare alla funzione nomofilattica propria, la Corte di Legittimità ha enucleato quattro requisiti necessari ai fini della configurabilità del furto in abitazione: occorre una utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (a titolo esemplificativo, si citano attività di riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale, etc), in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne; è necessario che intercorra tra il locus e la persona uno spazio cronologico apprezzabile caratterizzato dalla stabilità e non dalla mera occasionalità; è necessaria l’inaccessibilità al luogo in cui si svolge la vita privata dei proprietari, non essendo possibile per terzi esterni accedere senza il consenso del titolare che, in alcuni casi è un elemento negativo del fatto tipico, es. art. 614 del c.p., in altri è una scriminante ex art. 50 del c.p.; (la giurisprudenza successiva, coerentemente con tali premesse, ha riconosciuto 'irrilevanza del fatto che l'abitazione sia disabitata poiché ciò non muta la natura del luogo che non può considerarsi per ciò solo aperto al pubblico e accessibile a terzi); da ultimo, è necessario che sussista il nesso finalistico - e non un mero collegamento occasionale - fra l'ingresso nell'abitazione e l'impossessamento della cosa mobile, in quanto il nuovo testo dell'art. 624-bis c.p., pur ampliando l'area della punibilità in riferimento ai luoghi di commissione del reato, non ha innovato quanto alla strumentalità dell'introduzione nell'edificio, quale mezzo per commettere il reato, già preteso dalla previgente normativa.
Per l’effetto, la mera occasionalità della presenza all'interno del luogo di privata dimora o nelle sue pertinenze, è insufficiente a configurare la fattispecie contestata poiché dal testo della norma si evince chiaramente il rapporto di strumentalità dell'introduzione nell'edificio rispetto all'azione furtiva posta in essere, essendo semplicemente un mezzo per commettere il reato. Ciò risulta confermato anche da una interpretazione sistematica delle fattispecie aggravate limitrofe, in quanto nelle ipotesi in cui il legislatore ha voluto prescindere dal nesso finalistico lo ha chiarito espressamente (es. art. 625 del c.p. nn. 6 e 7, c.p., collocando semplicemente le cose sottratte in determinati luoghi, uffici o stabilimenti).