Qualche mese fa, a margine di un Anaci Day, il presidente del tribunale di Milano ha spiegato che i casi di stalking condominiale sono in marcato aumento. E una recentissima vicenda, finita all'attenzione della Corte di Cassazione, lo ha ribadito: una coppia sposata è stata infatti condannata per il reato di atti persecutori, di cui all'art. 612 bis del c.p., nei confronti dei vicini.
A seguito dell'accertamento in giudizio del continuo spostamento di mobili, del ripetuto versamento di liquidi vari sul terrazzo sottostante, dei forti rumori di passi e anche di un'aggressione ingiustificata, il giudice di legittimità - ribadendo l'esito della sentenza di secondo grado - si è convinto ad emettere una pronuncia di condanna per l'illecito penale di stalking condominiale.
In sostanza, il ricorso presso la Suprema Corte da parte della coppia - già condannata in appello - non è bastato a rovesciare la decisione. Vane le difese mirate a giustificare gli atti come rientranti nelle ordinarie mansioni domestiche e - quindi - privi dell'intento di turbare l'equilibrio psichico e le condizioni di alcuno. Anzi, da quanto emerso dai fatti di causa, alle persone offese non era bastato chiedere l'intervento dell'amministratore di condominio, con una lettera mirata a sciogliere gli attriti. Il risultato fu l'opposto, ossia la suddetta aggressione fisica da parte della donna poi condannata - anche in Cassazione - per il reato di cui sopra.
Proseguendo sulla linea di una consolidata giurisprudenza (come ad es. Cass. 44261/24 o Cass. 49269/22), la decisione della Corte è di monito per tutti coloro che, per antipatia o altri futili motivi, prendono o vorrebbero prendere di mira i vicini di casa, commettendo gesti penalmente rilevanti. Ricordiamo che, sulla scorta dell'art. 612-bis c.p., con l'espressione "stalking condominiale" ci si riferisce a quelle azioni moleste, intimidatorie e reiterate poste in essere da uno o più condomini in danno degli altri.
In particolare, la condotta è qualificabile come stalking condominiale quando - attuandosi come indebita ingerenza o interferenza nella vita privata e di relazione con la vittima - induce in quest'ultima uno stato di ansia o paura, o la costringe a modificare le proprie abitudini di vita o - ancora - se ingenera in essa un fondato timore per la propria incolumità o per quella di una persona cara.
Nel caso qui citato, la serenità e la libertà psichica delle vittime erano compromesse, posto che - in giudizio - è stato accertato il grave stato d'ansia in cui la vicina del piano di sotto era finita, tanto più che all'epoca dei fatti era incinta. Con lei, inevitabilmente, anche il marito finì in uno stato di profonda agitazione.
Ecco perché, per vicende come questa, il legislatore prevede il reato di atti persecutori, punito con la reclusione da 1 anno a 6 anni e 6 mesi, pena che può aumentare in caso di aggravanti.

Gli atti persecutori nei confronti dei vicini di casa, se accertati in tribunale, non restano impuniti. Lo ribadisce la Cassazione con un provvedimento che conferma la decisione dell'appello e condanna una coppia di coniugi troppo "dispettosi"